La pax mediterranea di La Pira

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Con l’attesa partecipazione di Papa Francesco, domenica scorsa a Bari, si sono conclusi i lavori del “G 20” dei vescovi dei 20 Paesi mediterranei. I lavori, svolti nel castello svevo del capoluogo pugliese, hanno registrato la presenza di 58 prelati – fra cardinali, patriarchi e vescovi – provenienti da tre continenti ed hanno focalizzato i contributi offerti dal dibattito sul nucleo tematico “Mediterraneo”, frontiera di pace”. La Libia, l’Iraq sono stati indicati come i paesi più a rischio per le permanenti tensioni, le persecuzioni e un esodo continuo dalle zone funestate dalla guerra e dalle violenze più inudite. Anche la Terra Santa, a fronte del sempre latente conflitto israelo-palestinese rischia un continuo abbandono con tutte le conseguenti ricadute spirituali, sociali ed economiche. Senza addentrarci, in modo approfondito sulle tante tematiche affrontate e sulle non poche disponibilità alla pace emerse, un significativo accostamento storico va fatto in merito all’iniziativa promossa dalla Cei: “la Pax Mediterranea” sognata da Giorgio La Pira. Infatti, già nel ’58, il Sindaco Santo scriveva al Papa pensando al Mare Nostrum come “lago di Tiberiade del nuovo universo delle Nazioni. Il Giordano misterioso in cui i re della terra devono lavarsi per mondarsi dalla lebbra.” È una profezia, quella di La Pira, che attraversa tutto il ‘900 fino all’incontro di Bari di cui abbiamo accennato. In particolare, nel maggio del 1958, La Pira, inviò a Pio XII una lettera di presentazione del suo progetto “colloqui mediterranei”. I colloqui furono quattro e il primo si tenne dal 3 al 6 ottobre 1958. L’intuizione di La Pira fu quella di individuare nel mediterraneo il Lago di Tiberiade del nuovo universo delle nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Le nazioni che circondano questo lago costituiscono l’asse religioso e civile attorno a cui – da Oriente ad Occidente – deve gravare il nuovo cosmo, oggi diremmo Pianeta Globale. La grande profezia laica, civile e politica di La Pira fu quella di intravedere – oltre mezzo secolo fa – il Mediterraneo come la culla delle civiltà monoteiste che egli chiamava la “Triplice Famiglia di Abramo”. La grande attualità del messaggio lapiriano – in questi tempi sconvolti dalla psicosi del coronavirus e dalle tante guerre territoriale – sta nell’urgente e necessario convincimento che alla diffusa logica del conflitto va contrapposta lo forza paziente del dialogo. Questo sforzo permanente di La Pira si concretizzò nel tracciare una strada: il “sentiero di Isaia” illuminato dall’antica profezia messianica “Forgeremo le loro spade in vomeri, le loro lance in falci”. Attualmente l’aiuola globale, governata dal delirio di onnipotenza dei reggitori dei popoli ai quali certamente il coronavirus non riconosce il potere dell’immunità, la profezia di La Pira dovrebbe consigliare l’altro grave monito del Sindaco di Firenze: “abbattere i muri e costruire i ponti”. Questa immagine concreta della visione umana e politica – a dimensione universale – di La Pira gli fu mutuata nel 1967, al Cairo, dopo l’incontro con il presidente egiziano Nasser, dall’albergo dove La Pira venne ospitato, notò che i muri costruiti davanti alle porte dello stesso albergo, come baluardi di difesa antiaerea, venivano abbattuti da alcuni operai. In questo materiale abbattimento, la Pira, intrevede, con grande spirito profetico, l’abbattimento della diffidenza, dell’odio, della strumentale contrapposizione dell’uso folle della forza e della distruzione a cui il nostro villaggio globale sembra essere destinato, in tempi ravvicinati. La cecità dei potenti, piccoli o grandi, di questa o quella comunità nazionale, venga guarita della grande visione pacifica di La Pira e dalle conclusioni, altrettanto profetiche, di Papa Francesco, del G20 di Bari.

di Gerardo Salvatore