Secondo Renato Brunetta, da tempo sostenitore della necessità di una collaborazione pur senza confusione di ruoli tra Forza Italia e Governo “si sta aprendo una nuova fase di ascolto e condivisione”; secondo un cronista di “Repubblica” quello siglato giovedì in Parlamento sullo scostamento di bilancio per otto miliardi da destinare in gran parte alle partite Iva e ai professionisti colpiti dalla crisi è un “patto di unità nazionale”, tesi condivisa con minor enfasi da Giuseppe Conte, che ha parlato di un “segnale di unità” rivolto dalla politica alla comunità nazionale. Il segretario del Pd Zingaretti sgombra subito il terreno dall’equivoco di un possibile passo di avvicinamento verso un governo di tutti; mentre i Cinque stelle si preoccupano di sottolineare che da parte del Governo non c’è stato alcun cedimento e semmai sono state le opposizioni a dimostrare volontà di collaborazione, senza che questo sia “l’antipasto ad altro”.
Insomma, qual è il significato del voto all’unanimità? Che cosa c’è dietro? Chi è stato il tessitore della trama, e quali obiettivi vuole raggiungere? Ma poi: è veramente un punto di svolta della legislatura? Dopo tutto non è mica la prima volta. Lo sfondamento del deficit era già stato autorizzato dalle Camere, maggioranza e opposizione, per ben due volte in primavera, nella fase iniziale dell’epidemia, quando si era instaurato un clima che ricordava gli anni della solidarietà nazionale; ma poi l’unanimità si era via via sfilacciata, colpa del governo e dell’eccesso di decreti presidenziali imposti al paese senza dibattito parlamentare, colpa della sottovalutazione dei rischi legati alla seconda ondata del virus, prevista ma non arginata, colpa di una certa ostentata autosufficienza dell’esecutivo, sordo anche ai continui richiami del Quirinale. E allora, se di tessitura si deve parlare, è alla discreta ma costante moral suasion di Sergio Mattarella che si deve far riferimento, ed è all’inquilino del Colle che si deve attribuire il merito del risultato, come conferma il fatto che nessuno, tra i protagonisti della politica, osi intestarsi il successo della manovra.
Detto questo, non si tratta di una svolta, né di una nuova fase che si apre né di un patto per la legislatura, tanto meno dell’anticipo di un’ammucchiata parlamentare permanente. Più semplicemente, ma non è poco, alla metà del percorso verso le elezioni del 2023 (tranne sorprese sempre possibili) ci si è resi conto che le balorde formule di governo finora sperimentate sono logore e ormai improduttive. Il presidente Conte, volente o meno, ha chiuso il cerchio aperto al buio con l’innaturale alleanza Lega-Cinque stelle e proseguito con l’abbinata Cinque stelle-Pd che, lungi dal trasformarsi in accordo strategico, non riesce a nascondere radicali divergenze di obiettivi. I protagonisti del primo anno di legislatura sono in crisi più o meno evidente; il Pd non riesce ad esprimere una qualche forma anche larvata di egemonia; i perdenti di ieri –Forza Italia e Fratelli d’Italia – cantano vittoria. L’avanzata dell’epidemia ha azzerato la politica, ridotta ad azzuffarsi sui colori delle regioni, sul calendario scolastico, sull’orario delle Messa di Natale, sull’apertura delle piste da sci. Il voto di giovedì non riesce a nascondere la profonda voragine che si è aperta sui conti dello Stato, che si manifesterà pienamente a gennaio insieme al ritardo sull’appuntamento del piano di rinascita europeo. Da oggi in poi la partita politica riprende con tutti i giocatori al palo.
di Guido Bossa