La politica senza fiducia

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La vicenda più importante di questi giorni è quella che sta investendo l’ex premier Matteo Renzi, la sua famiglia (in particolare il padre), il suo amico politico più stretto, il ministro dello sport Luca Lotti e conseguentemente nella bufera ci è finito anche il partito democratico e il governo. I cinque stelle hanno presentato una mozione di sfiducia a Lotti che sarà votata mercoledì prossimo dal Senato. Al momento le possibilità che passi sono praticamente nulle e l’esito è scontato. Il tema della corruzione è una costante della nostra vita politica e non solo. Esattamente 40 anni fa il Parlamento si stava occupando del rinvio a giudizio di due ex Ministri della Difesa, il democristiano Luigi Gui ed il socialdemocratico Mario Tanassi. Implicati entrambi nello scandalo Lockheed, relativamente a presunte tangenti legate all’acquisto di aerei americani da trasporto. Il 10 marzo, il Parlamento vota a favore del rinvio a giudizio di fronte alla Corte costituzionale di Gui e Tanassi. In loro difesa interviene alla Camera il Presidente della DC Aldo Moro. Di quel discorso è rimasta celebre la parte finale, nella quale Moro pronunciò la frase “noi non ci faremo processare nelle piazze” ma l’analisi e la riflessione che lo statista democristiano usò allora per affrontare la realtà potrebbe essere letta come insegnamento anche oggi. Moro avverte la responsabilità che pesa su una classe politica che deve decidere se mettere o no in stato d’accusa dei cittadini, siano o no ministri. Dunque un compito difficile soprattutto perché nell’opinione pubblica c’è malcontento, diffidenza e ostilità. Nonostante le difficoltà della situazione Moro mette in evidenza il primato che spetta alla politica ed è per questo che in aula dice che “se dobbiamo cogliere l’opinione pubblica, valutarne gli stimoli ed accentuare la nostra capacità critica, non dobbiamo, però, seguirla passivamente, rinunziando alla nostra funzione di orientamento e di guida. Fare giustizia sommaria, condannare solo perché lo si desidera, offrire vittime sacrificali, ebbene, questo non sarebbe un atto di giustizia, ma pura soddisfazione di una esigenza politica. L’obbedire alla opportunità, benchè la politica sia, in un certo senso, il regno dell’opportunità, non paga; colpire delle persone, senza che siano date rigorosamente le condizioni che ne giustificano e richiedono la condanna, è un atto di debolezza ed una violazione dei principi. Ed i principi sono, nel nostro ordinamento repubblicano, il rispetto della persona e la libertà, se la legge non lo impone, dall’accusa e dalla pena”. Moro affronta questo discorso mentre c’è il governo di solidarietà nazionale e c’è un rapporto politico sempre più stretto con il PCI. Non fa calcoli, difende le istituzioni e il suo partito che non vale solo per i voti ma soprattutto per le idee e i valori che rappresenta. Milioni di persone si riconoscevano non solo nella DC ma in quei partiti che traevano forza dal consenso popolare. Oggi questo anello si è spezzato. C’è una grande sfiducia. E la differenza profonda tra quella vicenda e questa attuale sta proprio nei leader e nei partiti. Allora il consenso era legittimato sia dal voto popolare che nei gruppi parlamentari. Oggi come ha lucidamente scritto Ezio Mauro, il vero limite di Renzi è di ambizione: pensare eternamente a proteggersi dai colpi e a colpire invece che a convincere e conquistare. Con un progetto capace di presentare una nuova sinistra come leva del cambiamento di un Paese in crisi, in un discorso di verità, tenendo insieme le eccellenze e le sofferenze italiane, in un nuovo disegno di società. Questa sua mancanza di visione lo rende oggi debole. Al contrario Moro pronunciò 40 anni fa quelle parole perché aveva la forza della politica.
edito dal Quotidiano del Sud