La Repubblica dei “rieccoli” 

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Nelle segreterie dei partiti già si valutano mosse e contromosse. Si varano nuovi posizionamenti. Si compilano liste di candidati più o meno probabili. Si affilano coltelli pronti ad essere usati contro amici e avversari. Al buio, perché ancora non si sa con quale legge elettorale si voterà nella ennesima competizione di questa transizione infinita. La debolezza dei partiti e le leggi elettorali fai-da-te sembrano aver prodotto un solo effetto. Quello di far rivivere i “rieccoli”.

Durante la prima repubblica, il “rieccolo” per eccellenza era uno solo, Fanfani, così bollato ironicamente dal corregionale Montanelli per la sua abilità nel risorgere dopo cocenti sconfitte. Ora i “rieccoli” si sono moltiplicati. Sono almeno due. Renzi e Berlusconi. Il primo, reduce dalla cocente sconfitta sul referendum costituzionale. Il secondo dal forzato allontanamento da palazzo Chigi dopo la tempesta monetaria dal 2011 (e la sospensione ex lege Severino). Alla loro ombra, un centrosinistra ancora diviso e un centrodestra ringalluzzito – che dovranno fare i conti con l’oste grillino – disputeranno le prossime politiche.

Non si sa ancora se ambedue candidati, considerato il ricorso dell’ex cavaliere a Strasburgo. Entrambi minacciano massicce presenze. Berlusconi fin dalle regionali siciliane, per le quali medita di installarsi stabilmente a Palermo. Renzi, invece, ha annunciato un tour di dieci settimane lungo il Paese. E già sembra di risentire gli echi di battaglie già combattute. Con le solite promesse. Mirabolanti abbassamenti di tasse mai realizzati prima. O inni al milione di posti di lavoro che sarebbero stati creati, senza stare tanto a vedere se si tratti di occupati stabili o magari solo per qualche mese.

Intanto, l’andamento delle legislature della presunta seconda repubblica dimostra che le sorti magnifiche e progressive del maggioritario – destinato secondo tanti illuminati maestri del pensiero a ridare lo scettro al principe, cioè al popolo, assicurando stabilità e governabilità al Paese – sono state quasi sempre una favola. Durante la prima legislatura post-crollo dei partiti tradizionali, quella del ’94, un Cavaliere trionfatore fu azzoppato dal ribaltone della Lega, seguito dal governo Dini. Nella seguente, ben tre governi: Prodi, l’unico uscito dalle urne, poi D’Alema frutto di manovre parlamentari e Amato con un esecutivo del Presidente. L’unica legislatura che ha visto un solo premier dal primo all’ultimo giorno, con Berlusconi, è stata quella 2001-2006. Nella successiva, il vincitore Prodi dopo due anni fu fatto cadere da Rifondazione. In quella iniziata nel 2008, il governo Berlusconi dopo tre anni fu sostituito dal governo tecnico di Mario Monti, promosso sul campo senatore a vita da Napolitano, poi altri due esecutivi voluti da re Giorgio: Letta e Renzi. Infine, Gentiloni.

E’ evidente che il maggioritario non è servito né ad assicurare la governabilità né la stabilità. Lo si è voluto calare come una camicia di forza, su un tessuto politico e sociale, come quello italiano, articolato e refrattario alle forzature. Non è servito, soprattutto – considerata la grande quantità di esecutivi del Presidente o comunque non derivati da responsi elettorali – a garantire il rispetto della volontà degli elettori. Privati, anzi, di ogni possibilità di scegliere effettivamente i parlamentari a vantaggio delle segreterie dei partiti. Sarà un caso se i risultati più evidenti di questo maggioritario stiracchiatissimo sono stati un bipolarismo farlocco, la moltiplicazione dei gruppi parlamentari (ormai già più di quelli della prima repubblica), i cambi di casacca (quasi 500 tra Camera e Senato), l’implacabile alternanza di colore politico a ogni legislatura? E soprattutto, una moltiplicazione dei “rieccoli”?

di Erio Matteo edito dal Quotidiano del Sud