La Repubblica del Selfie

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Salvini offre la perfetta didascalia di quell’immagine che si è da subito stagliata sulla premiership renziana.
L’immagine che viene riflessa naturalmente non è la fotografia di un Paese impoverito e deprivato, al quale si sta facendo compiere un pericoloso balzo indietro. Con un radicale restringimento dei diritti e delle tutele sociali che mette in discussione gli stessi principi costituzionali. Quello che viene fuori, invece, è la cartolina oleografica ed edulcorata di un Paese in ripresa, che per la verità non s’intravede neanche a far ricorso alla più fervida immaginazione. Il salvinismo, così come è stato per il renzismo, nasce dal vuoto e nel vuoto politico ha trovato uno spazio enorme per la propria affermazione, conquistando in un solo colpo leadership di partito ed egemonia sulla compagine governativa. Il progetto leghista di sfondamento a Sud, al di sotto del Po, come confermato dalle ultime elezioni europee, con l’accantonamento definitivo ed irreversibile del secessionismo leghista di impronta migliana, ha sparigliato in maniera definitiva le carte sul tavolo di un centro-destra disorientato e senza una vera guida, alla ricerca di una leadership riconosciuta dalle varie componenti. Nella “crisi della politica”, Salvini, come Renzi, ha trasformato la “politica della crisi” in un’opportunità unica per costruire una leadership personalizzata, in nome di un esasperato e viscerale decisionismo, che da subito si è caratterizzata per cinismo e opportunismo. La cifra interpretativa del renzismo è stata tutta racchiusa in una visione machiavellica, con forti connotazioni decisionistiche e autoritarie, il salvinismo non sembra essere inferiore per portata. La visione di una società chiusa, gli slogan propagandistici, la politica della “geo-localizzazione”, sono elementi che incarnano il carattere del vero “dominus” del governo. Salvini, mentre si fa il “selfie” autocompiacendosi, per quei provvedimenti che stanno facendo arretrare l’Italia di un cinquantennio, sembra somigliare tanto a quel Renzi che si autocompiaceva per le sue riforme mentre continuava a rigirare la lama tagliente di scelte dolorosissime nella carne lacerata, da anni di profonda crisi, di milioni di cittadini che continuano a tutt’oggi a riconoscersi in questa “Repubblica”. Le radici culturali del salvinismo sono un amalgama di riferimenti indistinti, e per questo pericolosi. Salvini, come Renzi, non rappresenta né una continuità, né un’evoluzione, tantomeno una rottura. Il confronto tra Renzi e Salvini rappresenta, senz’altro, una mutazione genetica, degenerativa del sistema politico, dove, nel caso del premier/segretario, il contenitore è privo di contenuti, dove l’immagine, la proiezione olografica, e il “selfie”, s’impone sulla realtà, dove il sensazionalismo annulla la complessità dei temi sociali, lanciando provvedimenti che vengono presentate con quella retorica del “si cambia tutto” che è il tratto distintivo del nuovo corso salviniano. In definitiva, la profezia, secondo la quale alla fine si sarebbe rimpianto la “Prima Repubblica”, si è già autoavverata. Dalla rappresentanza, dove la leadership politica era diluita in una forma-partito plurale, siamo passati alla rappresentazione, banale, della realtà. Ma “mentre sulla scena politica si susseguono banali rappresentazioni, nelle quali tutte le ambizioni umane intessono le loro menzogne, sullo sfondo giganteggia la maschera sghignazzante della realtà. E’ ancora Gramsci a suggerirci le parole per svelare un presente nebuloso e ingannevole e ad allertarci sulla “menzogna del potere”.

di Emilio De Lorenzo