La rivoluzione dei sentimenti

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In questa anomala tornata elettorale, sotto il torrido caldo di agosto, c’è ancora tempo per alcune riflessioni utili che ci dovranno accompagnare alle urne settembrine. Riguardano, a mio avviso, il futuro del Paese, il ruolo che dovrà vedere impegnata la classe dirigente, la partecipazione dei giovani che per la prima volta entreranno nella cabina elettorale e, a mio avviso, il peso che potrebbe avere l’astensionismo.

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Non v’è dubbio che la fuga di Draghi dalla responsabilità del governo del Paese si è prestata a diverse interpretazioni. Quella più convincente, a me sembra, è l’abbandono da parte del premier della nave Italia, senza che il Parlamento lo avesse sfiduciato. E’ una macchia difficilmente cancellabile per un personaggio di grande autorevolezza e di prestigio mondiale quale Draghi è. In tutti i casi, sia per una fase di grande stanchezza, o ancora di future mire a noi sconosciute, ma facilmente intuibili, il comandante è sceso per primo da bordo, lasciando tutti in mezzo ai guai. Ma la frittata è fatta e saranno gli storici a scandagliare i motivi di una scelta che riporta il Paese in una situazione di grande confusione.

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Intanto, per effetto di una maldestra legge elettorale, la classe politica che verrà fuori nel dopo elezioni sarà destinata ad aumentare probabilmente la situazione ante Draghi, riproponendo soggetti dimostratisi inaffidabili di fronte alle grandi sfide del Paese. A commentare le prime battute di una campagna elettorale più vissuta sui posizionamenti che sui programmi, è facile immaginare un ritorno a una partitocrazia rissosa e all’assalto di quel potere nefasto che è stato causa del peggiore clientelismo e all’insegna di un trasformismo che crea instabilità del governo. Con un’aggravante: se la Destra dovesse vincere la partita metterà le mani sulla Costituzione, figlia della Resistenza e di un patto sociale stilato per la comune volontà di mettere al sicuro la democrazia e la libertà. L’altro elemento non di poco conto riguarderebbe una probabile emarginazione del Paese dal contesto europeo e internazionale. Si tratta di preoccupazioni ben argomentate in queste settimane da costituzionalisti di grande prestigio e politologi non sempre di parte. In ogni caso, conservatori o progressisti che siano quelli a cantare vittoria, di certo ci sarà il ritorno a quel teatrino della politica, con i suoi veti e il cambio di gestione nei palazzi del potere.

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Come si possono evitare questi pericoli? Qui entrano in campo due valori indispensabili e insostituibili: l’impegno per conseguire il bene comune e la responsabilità individuale e sociale per sconfiggere antiche e nuove emergenze che si sono presentate drammaticamente sul quadrante della storia che si sta scrivendo. Con quali strumenti si può dare avvio a questa “rivoluzione dell’impegno e dei sentimenti”? Non c’è arma migliore, a mio avviso, dell’espressione del voto. E non c’è migliore risorsa se non quella del “capi – tale umano dei giovani” che, proprio per la cattiva gestione delle Istituzioni, da tempo si è allontanato dalla politica. Il Paese in questi ultimi decenni è molto cambiato. L’emigrazione da piaga maledetta si è trasformata in grande opportunità. La politica dei partiti (forse clan) non ha dialogato con il mondo dei giovani. Questo mondo sta dimostrando attraverso l’impegno nei centri di ricerca, nelle start-up, nelle tante forme di associazionismo, che si può sperare in meglio. A condizione, però che ad esso sia dato spazio. Così facendo non solo si svecchia la classe dirigente, ma soprattutto si combatte quella forma di astensionismo che in gran parte è riconducibile proprio a quei giovani delusi dal modo di far politica. Ciò che resta dei partiti sarà in grado un atto di coraggio?

di Gianni Festa