La scommessa dei Cinquestelle 

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La vicenda delle Presidenza delle due Camere si è conclusa – al di là delle preferenze personali di ciascuno – in coerenza con il responso elettorale. Una alla coalizione e l’altra al partito più forte. Ora, tra segnali di fumo e incursioni in terreni inesplorati, ma più pericolosi di un campo minato, va avanti il tentativo del M5S e del suo giovane “capo politico” di completarne la trasformazione in forza garante di un equilibrio di governo. Tentativo irto di difficoltà. Per i numeri da far quadrare. Per le notevoli attese create e confermate dalle proporzioni del voto. E, non da ultimo, per le diffidenze reciproche tra le forze politiche.

Di Maio sta proseguendo nella sua opera per caratterizzarsi sempre più come politico moderato. Ha intanto annunciato una risoluzione del suo partito sul Documento di progranmazione economica e finanziaria rispettosa dei vincoli europei. Evidente segnale politico lanciato in direzione della continuità e delle stabilità del sistema. Significative, poi, le sue visite post-elettorali milanesi a Confcommercio e Confartigianato, nell’ambito di una serie di contatti tesi a rassicurare gli ambienti economici e produttivi del Nord. Mentre continua a rivendicare, tuttavia, l’incarico a lui come leader della maggiore forza politica del Paese, non gli sfuggono i rischi che il giocattolo possa rompersi. E la crisi avviarsi fatalmente verso sbocchi imprevedibili. Non a caso, proprio per rassicurare la base elettorale, Grillo ha ribadito che “l’epoca dei vaffa è finita, ma quella degli inciuci non comincerà”. Anche Di Maio ha sentito il bisogno di tranquillizzare i parlamentari circa la regola dei due mandati, che potrebbe non applicarsi in caso di legislatura breve. Intanto, per quanto riguarda l’incarico, va ricordato che il Capo dello Stato non é vincolato da alcuna specifica norma costituzionale ad affidarlo al leader del partito o della coalizione piu forte. Il vero vincolo è che è tenuto a concederlo alla personalità che appare avere – fondatamente – i numeri per costituire una maggioranza. E il copione finora seguito da Di Maio sembra essere stato, negli ultimi giorni, parzialmente modificato. L’intoccabilità della liste dei ministri, finora assoluta, non è più un tabù. Tra i punti irrinunciabili del programma sembra essere stato “dimenticato”, per favorire possibili convergenze, almeno il nome del reddito di cittadinanza. E l’approccio lento di Mattarella – che comunque ha avvertito di volere per giugno un governo vero e non pasticciato, altrimenti meglio rivotare – viene apertamente apprezzato. Di Maio continua a sottolineare –anche ora – il carattere “istituzionale” della avvenuta elezione dei Presidenti delle Camere, benché non gliene possano essere sfuggiti né il significato né le implicazioni politiche. Una delle due Camere è apparsa come il trofeo minimo per soddisfare la base elettorale come bottino. E ora sembra svolgersi, tra le forze politiche, una strana pantomima. Le voci sull’ avvicinamento di intese governative fra M5S e Lega-non-più-Nord, fatte balenare anche da Salvini (forse nel tentativo di arginare le tentazioni berlusconiane verso il Pd) e indirettamente riconosciute da Grillo, non sembrano essere finora pienamente assecondate da Di Maio. I problemi interni al centro-destra appaiono momentaneamente accantonati ma non risolti. A cominciare dalla diffidenza di Berlusconi, nostalgico di un accordo “di sistema” tipo Nazareno. E consapevole che una intesa con il M5S sarebbe a trazione leghista.

Intanto, si moltiplicano dichiarazioni e cautissimi segnali a distanza tra pentastellati ed esponenti Pd. Essi farebbero pensare che, dietro le quinte immobili dell’ufficialità – fatta anche della formula un pò bizantina di Martina “all’opposizione ma senza Aventini” – qualcosa, col tempo, forse potrebbe muoversi. Solo l’appello di Veltroni (“a certe condizioni e sotto la regia de Colle, il pd dialoghi con il M5S”) ha scosso apertamente il Pd. E ha suscitato i sospetti dei renziani. Proprio le divisioni e le incertezze interne al Pd potrebbero rendere impossibili o inutili, perché fuori tempo massimo, le eventuali iniziative dell’ex partito di maggioranza relativa. La sensazione prevalente è che i tempi non siano ancora maturi per vistosi mutamenti di rotta. La navigazione politica per l’uscita dalla crisi, perciò, minaccia di essere ancora lenta. Irta di difficoltà. E forse ricca di colpi di scena!

di Erio Matteo edito dal Quotidiano del Sud