La scuola reagisce all’emergenza, la riflessione del Prof. Caruso

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Insegno latino e greco al Convitto, con una passione ed un impegno che mi e’ connaturale per tradizione di famiglia ed inclinazione naturale allo studio, ma per quanto mi riguarda, in me sono spenti molti degli entusiasmi per questa presunta rivoluzione che la scuola starebbe vivendo da poco piu’ di venti giorni. Anche al Convitto stiamo approntando una serie di videolezioni per non lasciare i ragazzi da soli e sono onesto nel riferire che si agisce soprattutto per buon senso e nella liberta’ di insegnamento, grazie anche alla sensibilta’ della Dirigente, ma sono proprio io ( e non sono l’ unico) ad avere riserve sull’ argomento. La scuola e’ un ambiente fatto in primo luogo di relazioni che non possono essere affidate all’ invio di un file o alla condivisione di un video. Ho avuto occasiome di formarmi sull” argomento, con la guida di esperti come Aldo Maiolo, mi sono gia’ confrontato con Padlet, kahoot, Powtoon e piattaforme digitali ma ho sempre pensato che questi validi ed immediati supporti alla didattica possono essere solo uno strumento. Ho sempre avuto coscienza di come la preparazione di materiale on line richiedesse tanto tempo, speso magari in soli pochi minuti di lezione in presenza, per cui non mi stupisco di tanti docenti che ora lavorano a casa ben oltre l’ orario curriculare ma mi chiedo anche quanto realmente si sia interessati al disorientamento dei ragazzi, che e’ in primo luogo affettivo e poi contenutistico. In un recente collegamento on line con i miei alunni, ho visto molto visi spenti…mi ha fatto piacere entrare in punta di piedi, nelle loro stanze ma mi sono anche interrogato su come davvero poterli aiutare. Purtroppo stiamo vivendo un momento non ordinario, in cui dovrebbe venire prima l’ attenzione alla persona e poi ai programmi. Gia’ quando ero a scuola correggevo i temi dei ragazzi con un rispetto che andava ben oltre gli errori grammaticali, perche’ i nostri alunni quando si raccontano lo fanno con una sincerita’ che tante volte non e’ appartenuta neanche alla mia generazione. Nel mio percorso di educatore, ho sempre indicato esempi di dedizione allo studio, attivita’ mentale per eccellenza che richiede anche un’ opportuna serenita’ per ripiegarsi in se stessi e dimenticare le fatiche del quotidiano. Basti gia’ solo pensare a Machiavelli, che nel suo studiolo, per entrare “nelle antique corti” sentiva il bisogno di toglier gli abiti sporchi di fango e di recuperare concentrazione. Il problema e’ tutto qui, per studiare davvero bisogna rasserenare la mente e, purtroppo, per molti di noi credo che manchi proprio questa possibilita’ di radunare le migliori energie. Siamo bombardati da notizie che si susseguono tra allarmismi inquietanti seguiti a sottovalutazioni incoscienti per cui non e’ facile far finta di niente! Non lo possono fare i docenti, ne’ possono farlo gli studenti che , come prevede ogni attivita’ di insegnamento, debbono in primo luogo trovare un senso a quello che sarebbero chiamati ad apprendere. Il mio pensiero va a tutte le case in cui oltre ai files ed ai video arriva anche il temibile coronavirus, che porta tensioni vere e primarie. In queste condizioni di disagio, quando la tempesta e’ piu’ forte, non si puo’ far finta di niente e mi soccorre proprio una delle piu’ ardite congetture del Bentley, editore di Orazio, oggetto della mia tesi di dottorato. Il riferimento e’ alla terza ode del primo libro dei ” Carmina” di Orazio quando Bentley, in riferimento al timoniere sorpreso dalla tempesta, esclude il sintagma ” siccis oculis” riportato in tutti i codici e lo sostituisce con ” rectis oculis” perche’ , quando si e’ in balia delle onde, e’ impossibile non far cadere una lacrima… La didattica funziona davvero solo quando vi e’ un’ interazione che gia’ vedo difficile solo nel metro di distanza che siamo tutti costretti a rispettare gia’ nella alterata quotidianita’ …Ormai, nelle nostre case, siamo tutti come sotto una tenda, che dovrebbe preservarci dall’ incontro funesto con il nemico invisibile. Ed ancora una volta mi soccorre la cultura classica, perche’ Seneca ci definirebbe tutti ” contubernales…immo homines” e riprenderebbe per noi quelle esercitazioni di retorica che avrebbero ancora tanto da insegnarci, ossia ” consolationes” e ” suasoriae”, scritti per consolarci nella difficolta’ e persuaderci alla speranza.Questi sono i veri esempi di didattica…” a distanza” di secoli e non di bande larghe, dirette al cuore perche’, come avvertiva il filosofo di Cordova, per resistere ai dispiaceri della vita, serve in primo luogo una ” commutatio animi”, non facile in tempi in cui e’ difficile ” naufrago porrigere manum” come richiederebbe l’ esercizio dell” humanitas sempre cara…

Pellegrino Caruso