La Serao e il Ventre di Napoli

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Oggi è il coronavirus in passato la peste o il colera. In questi giorni non sono mancati i riferimenti ad episodi storici e letterari. In particolare in molti hanno citato i Promessi Sposi o il Decamerone. Tra i tanti scrittori che hanno descritto le società alle prese con le epidemie c’è Matilde Serao che nel 1894 si occupò del Colera nel celebre racconto-inchiesta “il ventre di Napoli”.  La giornalista   descrive il “ventre” cioè i quartieri straripanti di poveri e disadattati preda del degrado urbano e delle malattie. La Serao si sofferma sulla grande capacità dei napoletani alla sopravvivenza nonostante le condizioni avverse e le loro usanze singolari per rispondere al morbo e alla morte, usanze che sconfinano nel paganesimo e nella pratica di riti occulti oppure si affidano ai truffatori che si fingono guaritori, anziché andare a curarsi nei distretti sanitari.  Scrive Matilde Serao rivolgendosi al Presidente del Consiglio dell’epoca Agostino Depetris “voi non lo conoscevate, onorevole Depetris, il ventre di Napoli.  Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto. Non sono fatte per il Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto: tutta questa retorichetta a base di golfo e di colline fiorite, di cui noi abbiamo già fatto e oggi continuiamo a fare ammenda onorevole, inginocchiati umilmente di fronte alla Patria che soffre; tutta questa minuta e facile letteratura frammentaria, serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie”.  Proprio in questi giorni ricorre la nascita di Matilde Serao che nacque a Patrasso in Grecia il 7 marzo del 1856 dove il padre, l’avvocato Francesco Serao fervente antiborbonico, si era rifugiato e dove conobbe la moglie Paolina Bonelly.  Con l’Unità d’Italia la famiglia Serao ritorna a Napoli dove Matilde dopo gli studi, trova impiego presso i Telegrafi di Stato. La sua vera passione è però la scrittura. Si trasferisce a Roma ed è assunta al “Capitan Fracassa”, prima donna redattrice nella storia del quotidiano romano. Fonda due giornali “Il Mattino” (insieme al marito Edoardo Scarfoglio nel 1892) e “il Giorno di Napoli” che dirigerà fino alla morte. La Serao non era bella ma grossa e tozza, con un’aria da maschiaccio, estroversa, gesticolante, sgraziata e chiassosa ed  ebbe una vita sentimentale molto intensa. Aveva un debole per il pettegolezzo che oggi si sarebbe chiamato gossip e per anni si è occupata di una rubrica mondana, “I Mosconi”, sul Corriere di Napoli da lei fondato e diretto insieme al marito. La rubrica della Serao diventa una pagina imperdibile del giornale, un’analisi ironica e puntuale dei costumi dell’epoca.  Una giornalista innamorata del suo mestiere e della sua città che conosce e descrive nelle sue viscere più profonde. L’otto marzo è vicino, nella giornata della donna ricordare Matilde Serao è importante non solo per chi fa questo mestiere ma soprattutto per il Mezzogiorno e per l’Italia. La sua passione e le sue innate capacità imprenditoriali e di scrittura potevano farle anche vincere il Premio Nobel, che avrebbe certamente meritato.  Miriam Mafai sostiene che tutto il giornalismo italiano è figlio di Matilde Serao e di Edoardo Scarfoglio non importa se figlio naturale o legittimo. Ma tutti da lì veniamo. Dalla Serao abbiamo ereditato la ricchezza della scrittura e nei casi migliori la capacità di guardare con occhi attenti la realtà del Paese, nelle sue brutture e nelle sue frivolezze; da Scarfoglio abbiamo ereditato il gusto della polemica, della sfida e del duello ma anche una buona dose di spregiudicatezza e avventurismo.

di Andrea Covotta