La speranza di uscire dal tunnel

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Le aree di parcheggio delle auto dei nonni – in zone adiacenti agli edifici scolastici cittadini – durante il tempo di attesa per il suono della campanella d’uscita dei nipoti, sono diventate delle improvvisate agorà di riflessione, di comunicazione, di allarmi paventati o di preludi a tempi non certamente migliori rispetto a quelli vissuti fino a qualche mese fa. Il coronavirus, o meglio, il Covid 19, è diventato, ormai la malattia che tutti temono. In particolare le persone anziane sono quelle più preoccupate perché i casi di decesso, per complicazioni respiratorie causate dal temuto virus, sono quelli più frequenti. Tanto premesso, come animatore dell’accennata agorà, proprio ieri, con la riapertura delle scuole, davanti alla scuola di un mio nipotino ho incontrato un mio vecchio amico, collega delle scuole medie, che diventato impiegato postale, attualmente in pensione affettuoso estimatore da sempre, anche grazie – secondo le sue ammissioni – al prosieguo dei miei studi, mi rivolse una domanda da cui è scaturita la riflessione che sto affidando alla stampa del nostro quotidiano. La domanda, comunque pertinente ed attuale rispetto il difficile momento che stiamo vivendo, era così articolata: “Caro professore, a me hanno sempre insegnato – nella famiglia, nella scuola e nella società – che la salute è un bene sommo, da curare prima di ogni altro bene. Dalla stampa e dalla televisione mi sto accorgendo che, negli ultimi giorni, l’interesse prevalente si sta spostando verso la ripresa del lavoro e della produzione. Di fronte a queste due grandi bisogni, come dovrebbe comportarsi il Governo?” Nell’immediatezza postuma alla domanda, dopo una brevissima esitazione risposi che bisognava trovare una giusta mediazione per tutelare contemporaneamente le due esigenze. Nello stesso pomeriggio, frattanto, la semplice domanda dell’amico riaccese in me una sofferta riflessione sulla prepotenza forte delle leggi finanziarie che, sul piano globale, non si fermano neanche difronte ad una epidemia, ancora sconosciuta e senza terapie capaci di bloccarla. L’onnipotenza del denaro e la folle corsa verso gli armamenti nucleari per la supremazia nel mondo, di fatto, ignora del tutto le fragilità umane e i milioni di profughi – tra cui donne e bambini – che spinti oltre i confini della Siria, rischiano di morire per il freddo e tante privazioni vitali, senza escludere i rischi sanitari. E il mondo, cosiddetto civile, quello dello sviluppo avanzato, quello degli sprechi alimentari quotidiani, tace come se la comunità umana degli sconfitti, dei senza voce, quella dello “scarto” per usare una drammatica espressione di Papa Francesco, non esistesse e, quindi, destinata a morire. Con il calare della sera, infine, con molta sofferenza interiore, ricordai a me stesso, che la Chiesa cattolica, proprio in questi giorni, ha iniziato il periodo liturgico della Quaresima: tempo forte per sconfiggere il male, per armarsi fortemente dello sconvolgente messaggio cristiano, sempre attuale anche se diffusamente ignorato. Come tanti, attualmente, ho avvertito di più il bisogno di un minimo di luce spirituale, per coltivare – soprattutto per i nostri figli e i nostri nipoti – la speranza di uscire dal tunnel globale delle guerre senza fine, dello scellerato sconvolgimento climatico e delle epidemie che mettono in affanno anche le comunità scientifiche più autorevoli.

di Gerardo Salvatore