La tragicommedia dei porti semichiusi

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Un provvidenziale certificato medico ha consentito lo sbarco a Catania di tutto il “carico residuo” rimasto a bordo della navi umanitarie  Humaniti 1 e Geo Barents, dopo la prima “selezione” che aveva consentito lo sbarco di donne e minori e soggetti fragili. In questo modo il nuovo esecutivo è stato salvato dall’umiliazione di doversi rimangiare i due fantastici decreti con i quali, dopo due settimane di attesa, aveva concesso alle due navi ONG il permesso di: “sostare nelle acque territoriali italiane..(non) oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed in precarie condizioni di salute”, con l’obbligo di allontanarsi dalle acque territoriali con il “carico residuo”. Con un semplice tratto di penna sono stati evocati gli spettri della “selezione” fra i meritevoli di essere salvati e quelli destinati ad essere rigettati all’inferno, in pratica una nuova versione de “i sommersi ed i salvati”, ed  è stata attuata una prima sperimentazione della cultura dello scarto, trasformando delle persone vive in materiale di scarto (carico residuo appunto) di cui sbarazzarsi, come si fa per i rifiuti tossici. Quello che conta è il linguaggio che, in questo caso, serve a definire un’identità. In un certo senso il nuovo esecutivo, con il decreto Rave e con i decreti sui porti semichiusi, ha indossato la camicia nera, pur essendo consapevole che stava realizzando una sceneggiata. L’importante è mandare il messaggio, che “la musica è cambiata”, che questo governo è intransigente nella difesa dei confini, che è capace di imporre a tutti “il rispetto delle regole”, e di tutelare “l’interesse nazionale”. Consacrare una nuova “postura” (di bullismo) nei rapporti interni e nei rapporti internazionali è un’ottima arma di distrazione di massa rispetto ai problemi reali di governo del paese, che non si possono risolvere spezzando le reni a chicchessia. Ovviamente una cosa è la narrazione, altra cosa è la realtà. Il Governo italiano non poteva prolungare il braccio di ferro con la Commissione Europea che più volte ha richiamato l’Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi» (da ultimo il 10 novembre con una nota ufficiale), come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Per questo è stato costretto ad assicurare un porto per lo sbarco. Né poteva impedire lo sbarco di tutti i naufraghi a bordo delle navi che hanno effettuato il salvataggio. La pretesa di effettuare la “selezione” fra i salvati e i sommersi non avrebbe potuto trovare attuazione pratica perché inevitabilmente sarebbe stata stroncata dalla giurisdizione amministrativa e da quella ordinaria, se non dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Vi è un catalogo di norme e principi di carattere nazionale, costituzionale e sovranazionale che non possono essere stracciati impunemente, neanche da un governo “forte”. A cominciare dallo stesso testo unico sull’immigrazione (art. 10 ter) che prevede che le persone salvate in mare devono essere condotte nei centri di prima accoglienza e devono essere informate del diritto di chiedere la protezione internazionale, essendo il diritto d’asilo un diritto fondamentale garantito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione. Per non parlare dell’impossibilità di reinviare in acque internazionali il “carico residuo”, poiché l’espulsione collettiva di stranieri è vietata dall’art. 4 del Protocollo n. 4 della CEDU e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Insomma il certificato medico è stato una manna dal cielo che ha tolto le castagne dal fuoco al Governo salvandolo da una imbarazzante retromarcia. A questo proposito la reazione stizzita del Presidente del Consiglio non si comprende se sia frutto più di inesperienza o di supponenza  Resta il fatto che ostacolare l’attività di soccorso in mare effettuata dalle navi umanitarie, che intervengono in una zona di mare dove sono stati ritirati tutti gli assetti navali di Frontex, non è una forma di contrasto all’immigrazione illegale, né di “protezione” dei confini. Le navi ONG intercettano, infatti, solo una minoranza dei profughi che arrivano dal mare: poco più di 10.000 su 87.000 sbarcati negli ultimi 10 mesi, l’11,5% del totale. La maggior parte dei c.d. “migranti illegali” arriva su mezzi propri che non possono essere bloccati, né respinti in alto mare. L’intervento delle navi ONG fa la differenza perché consente l’arrivo in Italia di quelle persone che con i mezzi propri non ce l’avrebbero fatta. In pratica c’è una selezione naturale fatta dal mare dove, secondo l’OIM, sono almeno 2.836 i morti e dispersi registrati nel Mediterraneo centrale dal 2021 al 24 ottobre 2022. Le navi delle ONG si intromettono in questa selezione naturale mitigandola, portando in salvo quel flusso di persone che non ce l’avrebbero fatta: o sarebbero annegati, o sarebbero stati catturati dalle motovedette libiche e riportate nell’inferno dei lager. Impedire quest’attività di soccorso significa pianificare la morte per annegamento di migliaia di persone come strumento della politica di gestione dell’immigrazione. Evidentemente nei suoi primi vagiti il governo ha riesumato il motto dei franchisti: Viva la muerte!

di Domenico Gallo