La tristezza di una festa

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Che cosa dovremmo festeggiare? Anche i nobili riti del lavoro, le ricorrenze che hanno segnato la storia del Paese, le tante conquiste e i cambiamenti che si sono avuti in questi anni sono un lontano ricordo. E’ la paura di un domani incerto che avanza nelle piazze vuote dove un tempo un assordante clima di partecipazione alimentava la speranza di tempi migliori. Il vento del coronavirus, il morbo che uccide, drammatico e impietoso, ci ha costretto ad un arretramento sociale che mai avremmo potuto prevedere. Il lavoro non c’è. I disoccupati aumentano e sui cantieri la morte continua ad uccidere. Come ieri ad Ariano irpino. Il governo, le regioni, scrivono decreti e ordinanze, ma in concreto non si vede un solo euro. Aziende medio-piccole, che da sempre hanno rappresentato il pilastro dell’economia nazionale, chiudono i battenti, licenziano i dipendenti, mentre i poteri criminali sono dietro l’angolo per alimentare un giro di usura spaventoso. “Cosa ti serve? – dicono i clan criminali- siamo qui per aiutarti”. E il giro si chiude mettendo le mani su attività costruite con sacrifici. In questo clima di preoccupazione c’è anche chi trova il tempo per alimentare la propria campagna elettorale usando gli scudieri per fare promesse clientelari. La vecchia politica non si arrende mai. Che cosa ci riserverà il domani è difficile immaginarlo. Il lavoro sarà il punto di attacco della ricostruzione. Per far questo occorre, tra l’altro, anche porre fine alla confusione istituzionale (Stato contro Regioni) e far prevalere merito e competenze. Ma oggi per il lavoro è una giornata di lutto. Il giovane |Pietro, schiacciato ieri da una trave staccatasi da una gru, e i tanti che continuano a morire in ogni parte d’Italia, ci consegnano la tristezza di una festa.

di Gianni Festa