La violenza domestica avvelena i rapporti più sacri

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Guardaci, Madre, in questa tua festa che sa di amaro come nel dopoguerra, come nel dopoterremoto quando più umili e umidi erano incollati gli occhi degli avellinesi alla tua cara immagine.

Guardaci perché c’è sempre un “dopo” (i nostri figli dicono “after”), una morte, una tragedia, un lutto, una catastrofe che mette in ginocchio la nostra presunzione “postcristiana”.

Guardaci, con sulle spalle il peso di questi due anni passati al contagocce di DPCM attesi e temuti, con la città che aveva i suoi coprifuoco e nel silenzio passavano le sirene delle autoambulanze, come il carro dei monatti, e tutti con la paura che si fermassero sotto casa. Si sono consumate le candele della candelora che ieri allontanavano gli aerei gravidi di bombe e i temporali che schiaffeggiavano i vetri mentre le mamme come sacerdotesse ti invocavano con “Tuono, vai via come è alto il Nome di Maria!”.

Ci sembrava, da bambini, che quel Nome fosse un parafulmini e attirasse in un gorgo di salvezza il rombo dei bombardieri, il ruggito dei terremoti, l’odore del colera ed ogni male, anche il terrore dell’uomo nero che visitava i nostri incubi notturni. Con le candele che non crepitano più è scomparsa anche la fede dal cuore dei tuoi figli?

Guardaci, Madre, che rischiamo di tornare cannibali sulle chiatte dei nostri continui naufragi dove invece che “fare partito tra noi” ci allontaniamo gli uni dagli altri e remiamo in direzioni diverse che ci fanno girare in tondo.

Guardaci Tu, che noi non abbiamo più il coraggio di guardarci, di salutarci, di chiamarci per nome, di toccarci per sentirci ancora vivi e… fratelli. Ci ha divisi anche il vaccino con un “NO” che sembra bandiera di libertà e nasconde confusione e divisione.

Guardaci, Madre, chè le famiglie hanno retto alla clausura forzata, ma si sono ammalate di aggressività e violenza, chè ad un primo momento di unità nazionale ed europeo è subentrata la contrapposizione e la guerra ideologica che è come chiedere ad un malato in “codice rosso” al Pronto Soccorso per quale squadra abbia tifato nello scorso campionato come condizione per sottoporlo alle prime cure d’urgenza.

Guardaci, tu lo sai che la salvezza non si coniuga mai al singolare, ma è sempre questione di molti, di tanti, di tutti.

Guardaci, Madre, che ci cibiamo di pane e psicofarmaci perché il livello dell’ansia è cresciuto anche nei ragazzi e nei bambini e le fiabe non hanno più il potere di farci addormentare credendo che si possa vivere “tutti felici e contenti”. Guarda gli sguardi persi di tanti che vagano e hanno smarrito l’orientamento, gli occhi bassi dei vecchi che fino a ieri erano enciclopedie di speranza, i nostri volti ancora “banditi” e le mascherine che velano i sorrisi che sfioriscono dietro un sipario che, a tratti, abbiamo paura sia calato per sempre.

Guardaci, Madre, con i tre mesi di digiuno eucaristico che ancora ci pesano il cuore e le comunità parrocchiali intubate in coma farmacologico come mai era accaduto in duemila anni di storia cristiana.

Guardaci, ancora in affanno a cercare vie nuove all’Evangelo che non vengono alla mente perché algido è il cuore. Anche quest’anno non passerà la Tua cara Immagine per le nostre strade pagane a raccogliere sguardi e preghiere, invocazioni e bestemmie, a benedire che è come portare carezze su malati terminali.

Guardaci, e, in questa notte mancante di luna, accendi stelle per i più disperati tra noi. Guardaci, Madre, in questi giorni in cui la violenza domestica avvelena i rapporti più sacri e siamo tentati di gridare: “Si salvi chi può!”. Volgi il tuo sguardo a questa città che non dal Rione “Quattrograne” o da “San Tommaso” vede insorgere violenza, ma dal salotto del Centro, dai tappeti dell’Avellino-bene sgorga sangue, da quei luoghi che ieri rappresentavano la memoria storica e in cui si distillava il futuro dell’Irpinia e non solo.

Guardaci, Madre, in questo giorno in cui ad ogni avellinese lontano pesava l’esilio e “casa” era il Corso illuminato e Piazza Libertà assiepata di sguardi, era la facciata della Cattedrale, ora coperta per lavori, da cui uscivi Regina a dispensare grazie e in cui rientravi come in una reggia di luce.

Guardaci, Guardaci ancora, nel Tuo sguardo prendiamo contezza del presente difficile e speranza per altri anni in cui riprendere a fare festa per Te, con Te assunta in cielo.

Guardaci, Madre, nei tuoi occhi ritroviamo Gesù il Salvatore e la nostra umanità perduta. Nel Tuo sguardo riprendiamo a tessere l’umano e la grammatica del bene per nuove stagioni di rinascimento.

Monsignor ARTURO AIELLO