L’antico asilo di Altavilla

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La mia casa dell’infanzia era situata in un’antica gancia secentesca del monastero di Montevergine, dal grande giardino, un tempo appartenuto ai monaci verginiani; essa confinava con l’asilo infantile, da cui era separata da un muro di cinta. Le grida gioiose dei miei compagni di gioco si mescolavano con i canti dei bambini dell’asilo, creando un insieme di voci, le cui vibrazioni erano costituite da filastrocche e ritornelli spontanei, appresi alla scuola della strada, e da canti più strutturati, intonati da  bimbi, dal grembiule rosa o celeste, la cui eco giungeva fino a noi. A questi ricordi sonori si associavano reminiscenze olfattive: erano i profumi della campagna e quelli della farinella a latte e del formaggio dal colore giallo,  sapori per noi insoliti e, quindi, più graditi; cibi,  questi, introdotti dagli Americani e distribuiti, tramite le associazioni religiose, tra cui le suore. Sono lontane sensazioni, che non ti abbandoneranno finché campi e che, poi, ti faranno compagnia per tutta la vita. Sono stati proprio questi lontani ricordi, più che le esperienze professionali, a suscitare il mio interesse  per la storia dell’asilo  del mio paese, storia, d’altra parte, non dissimile da quella di  altre realtà delle zone interne del Mezzogiorno.

 

Il primo asilo di Altavilla nacque circa dieci anni prima dello scoppio della Grande Guerra, pertanto non ne esistono memorie raccontate: le fonti orali, ormai, sono disperse; e né i figli  né i nipoti hanno potuto più raccogliere brandelli di ricordi. I racconti, trasmessi  dai loro avi,  riguardavano soprattutto l’esperienza della guerra in  trincea, guerra che aveva cancellato antiche memorie. Le uniche fonti cui è stato possibile attingere, per lo meno per il primo Novecento, sono stati i documenti scritti ed iconografici, soprattutto le delibere del consiglio comunale ed alcune cartoline d’epoca in bianco e nero, ormai sbiadite.

La generazione nata negli anni Trenta e Quaranta ha, invece, conservato quelle nitide lontane esperienze di scolaretti; pertanto, i testimoni dell’epoca, con il loro fiato caldo, hanno dato vita e voce ai polverosi registri di archivio e sono stati, quindi, di insostituibile aiuto per la ricostruzione della storia dell’asilo.

In questa prima parte ci interesseremo delle vicende dell’asilo di Altavilla dagli inizi del Novecento fino al secondo dopoguerra.

Origini, nascita e sviluppo

L’istituzione dell’asilo fu proposta, nel 1905, ad opera di un Comitato di privati cittadini, guidato dall’Arciprete Cosimo Lombardi (Parroco dell’Assunta dal 1900 al 1923, fondatore nel 1921 anche del periodico del Santuario); componenti  erano Carlo De Rosa, Giuseppe Sellitti, Tommaso Bruno, Ciriaco Severino, Luigi Sarti ed Angelo Bruno. Esso iniziò a funzionare agli inizi del 1906; la spesa fu coperta dai sussidi del Comune e dalle donazioni di privati cittadini. Già nel 1887, però, un gruppo di “ragguardevoli cittadini” altavillesi si era posto il problema della creazione di un asilo per l’infanzia abbandonata, tentativo interrotto, a causa dell’epidemia di colera, che scoppiò in quel medesimo anno. Ma i rappresentanti del Comitati, già nel 1906, si resero ben presto conto di non essere in grado di far fronte alle spese di gestione, e chiesero al Comune, con istanza del 27 ottobre 1906, di avocare a sé l’asilo; per questo motivo, il Consiglio, a distanza  di appena una settimana, nella seduta del 3 novembre, ne deliberava il passaggio amministrativo all’ente locale, con decorrenza dal 1° gennaio 1907. Per regolare il funzionamento dell’asilo il consiglio comunale  il 17 luglio del 1907 approvò  lo Statuto che all’art.5 prevedeva “Non sono accolti  i bambini non vaccinati, o che non abbiano sofferto il vaiulo, e quelli affetti da malattie contagiose e ripugnanti” La prima sede fu un caseggiato, in via Belvedere, di proprietà del Commendatore  Michele Capone; centosessanta bambini tra maschi e femmine incominciarono a frequentare l’asilo, come riportato da  G. Mongelli osb, nella sua Storia civile di Altavilla Irpina dalle origini ai nostri giorni, del 1990.

Per la direzione, la gestione e la cura dei bambini furono nominate, quattro Suore Francescane Alcantarine, la cui Congregazione aveva avuto, nel 1903, appena tre anni prima, il riconoscimento dalla Santa Sede. Erano chiamate alcantarine, perché seguaci del pauperismo di Giovanni di Sanabria, (1499 – 1562),  che  da religioso assunse il nome di Pietro da Alcántara, la città spagnola in cui era nato.

Dietro la scelta del comitato di invitare le suore di tale ordine, probabilmente, c’era una motivazione ben precisa. Esse, a Castellammare di Stabia, dove era stato costituito il loro primo nucleo, si erano particolarmente distinte nell’educazione scolastica, nell’insegnamento del catechismo e nell’assistenza ai poveri, prerogative, queste, che corrispondevano alle esigenze del comitato. Una foto della prima comunione, del 1906, primo anno di funzionamento dell’asilo, testimonia proprio l’attività di catechesi, ad Altavilla, da parte delle Alcantarine.

Ciò spiega come mai molte Suore dell’asilo altavillese, allora, come in seguito, provenissero dalla fascia vesuviana.

I ragazzi furono colpiti dal loro abbigliamento, soprattutto dal copricapo, per cui per tutto il Novecento alcuni alunni e gli stessi abitanti le chiamavano cap’ ‘e pezz’. epiteto del resto diffuso in molti  paesi del Mezzogiorno.

L’asilo restò per poco tempo nella sede privata. Bisognava trovare, infatti, una sistemazione logistica più idonea e meno dispendiosa per il comune, d’altra parte il proprietario aveva chiesto di liberare lo stabile. L’amministrazione comunale, per risolvere alla radice il problema,  provvedeva a riattare alcuni locali presso il Palazzo Comitale, da destinare a sede sia dell’asilo, che delle scuole elementari. Nel 1913, con delibera del 9 luglio, le due scuole furono trasferite in tale sede, prestigiosa dal punto di vista storico, ma certo non del tutto adatta alle nuove teorie pedagogiche, che, proprio, in quegli anni venivano sperimentate dalle sorelle Agazzi, da Maria Montessori  — che, da giovane. era stata ospite in casa Capone ad Altavilla —  e da altri pedagogisti.

Ma il modello di asilo, che, nei fatti, era stato alla base della proposta d’istituzione, nel 1905, rispecchiava — come si legge dagli atti comunali – il concetto assistenziale dell’epoca, quando religiosi e filantropi illuminati volevano fornire tutela, educazione ed istruzione ai bambini abbandonati, per salvarli dalle strade e dalle piazze, considerate luogo di perdizione. All’epoca, i concetti di educazione e di istruzione erano divisi, intendendosi con l’una l’educazione morale, con l’altra i primi rudimenti del sapere; mentre oggi, nel rispetto dell’unità della persona, l’istruzione è inscindibile dall’educazione.

Si trattava di un approccio sostanzialmente caritatevole, che durerà fino al secondo dopoguerra, quando l’assistenza all’infanzia verrà considerata un diritto sociale, universale ed inalienabile.

 

Tale impostazione ‘samaritana’ è  presente in quasi tutte le delibere del Consiglio comunale, dall’inizio del Novecento fino agli anni Cinquanta.

Nella delibera del 1906, che istitutiva l’asilo comunale si sottolinea, infatti, come

 

… i bambini fin dalla tenera età,  in massima parte, rimanendo abbandonati a loro stessi nelle strade e piazze (fino all’età che la legge li chiama all’obbligo della scuola 7 anni) diventino rozzi, ineducati e contraggano i germi  dei peggiori vizi che  rodono l’umanità.

 

La frequenza dell’asilo, fornendo  i primi principi morali ed i primi rudimenti del sapere, avrebbe permesso ai bambini dai tre ai sei anni di iscriversi alla scuola elementare

 

…l’asilo infantile …per la sua precipua indole è destinato a raccogliere ragazzi di tenera età (3 a 6 anni) per poi portarli alle scuole elementari con i germogli di principii sani e giusti, già istradati così nell’istruzione onde è più facile ottenersi lo sviluppo di quella cultura generale tanto necessaria ad ogni cittadino, ed alla quale tende l’istruzione elementare obbligatoria                                              Estratto del Verbale del Consiglio comunale  n° 8 del 3 novembre 1906

 

Il linguaggio della delibera risente del clima e della pedagogia del tempo; la frase “germogli di principi sani” presenta analogie linguistiche con testi delle sorelle Agazzi, che scrivono — a proposito dei bambini dell’asilo –, di un  “germe vitale che aspira al suo completo sviluppo”. Lo stesso  Michele Severini, storico locale,  è convinto che le attività dell’asilo fecondino nel cuore dei ragazzi “il germe delle virtù  individuali e sociali”.

 

L’asilo  di ‘ncoppa ‘a fresta

Con il passar del tempo, le aule poste nel Palazzo Comitale si rivelarono insufficienti ad accogliere entrambe le tipologie di scuola; l‘asilo fu trasferito, dopo alcuni anni, ‘ncoppa ‘a Fresta e precisamente in Via Mazzini, in una sede di proprietà, secondo una fonte orale, di un certo Deodato Villani; In  questa collocazione rimase fino al 1952,. Una cartolina, con la data del 1919, costituisce la più antica attestazione attualmente nota dell’asilo; essa mostra la facciata dell’edificio, simile a quella dei tanti altri di tipo ‘padronale’,  che si trovano, ancora oggi, ad Altavilla, come in molte altre località della Campania interna; sul portone principale campeggiava, per renderne ben riconoscibile la sua  destinazione, una targa a caratteri cubitali, con la scritta “Asilo Infantile”, il quale era situato al piano terreno; gli ambienti adibiti ad aule consistevano. in due stanze, che affacciavano sulla strada: per questa ragione, si percepivano subito le voci, provenienti  sia dall’interno che dall’esterno.

Si racconta che, quando la mattina gli spazzini passavano per le strade del paese, uno di essi, giunto nei pressi dell’edificio che ospitava l’asilo,  cantasse – proprio per farsi sentire — la strofetta probabilmente improvvisata:

zi’ munacella mia,/ và ‘a cantà ‘u cunventu.

Questi ambienti, originariamente costruiti appunto per magazzini o botteghe, erano stati adattati a questo nuovo uso, quindi, secondo la normativa odierna, sarebbero stati poco funzionali per le attività scolastiche. Ma, del resto, a quell’epoca pochi erano gli edifici realizzati esclusivamente  per le scuole.

I frequentanti di un tempo, a seconda della loro percezione, ricordano quelle aule ora ampie, ora strette e piuttosto simili ad una casarella.

Al di là  della impressione dei ragazzi, una cosa è certa: erano due stanze alquanto tristi, illuminate dalla fioca luce di due finestre; arredate con  banchi  in legno molto semplici, certo non ergonomici, né colorati e gioiosi come quelli attuali.

Dal grande atrio si dipartivano le scale, che portavano al piano superiore, dove nel 1936, in coerenza con il ruolo femminile del tempo un corso  di taglio e cucito  promosso dalla “Singer”, frequentato  da ragazze altavillesi di ogni ceto sociale, ma soprattutto da quelle che, allora, venivano definite ‘di buona famiglia’.

 

Per fortuna, nel retro c’era un vasto spazio – una sua parte era adibita a cortile, dalle pareti di tufo grezzo, lastricato da  pietre laviche, un’altra a giardino ed un’ultima ad orto –,  una vera valvola di sfogo per le attività creative e ricreative dei bimbi, momento anche per temprare il gracile fisico di alcuni di essi;  si configurava, quindi, per dirla con termini attuali, come un ‘laboratorio’ en plein air; anche sulla scorta del dibattito pedagogico sull’efficacia delle  ‘scuole aperte’ Esso, un tempo. doveva essere stato destinato solo ad orto, tanto che il vecchio toponimo di via Mazzini era proprio quello di via Orticelli.

Gli alunni di allora hanno ricordato, con nostalgia, quel giardino con rose ‘a pallone’ e roselline rampicanti, che aveva tanto colpito il loro immaginario infantile.

Proprio in questo spazio, inoltre, per motivi di luce, venivano scattate le fotografie/ricordo dell’epoca, spostando all’aperto, per l’occasione, anche banchi e tavolini.

Quel cortile grigio diventava vivo, e persino il muro di tufo a vista e le rozze inferriate, nella memoria collettiva, assumevano un volto meno triste.

Tutti, però, hanno invece un pessimo ricordo dei servizi igienici, bui e senza acqua corrente. Quando i ragazzi furono trasferiti nell’asilo ‘ncoppa San Pietro, furono favorevolmente colpiti dalla pulizia di questi ambienti – luminosi, arieggiati e con l’acqua corrente. Ma, abituati a questi confortevoli spazi, l’impatto successivo con  i servizi delle scuole elementari fu traumatico: questi erano ubicati in un angusto e basso locale, collocato a fianco della scala principale, buio e senza acqua corrente, per  cui se scivolavi — è capitato a qualche alunna — facevi la fine di Andreuccio da Perugia, il protagonista di una novella di Boccaccio.

Le attività

In questo palazzo di ’ncoppa’ a fresta sono passati, nello spazio di  circa trenta anni,  generazioni di bambini, Naturalmente, durante il ventennio, le manifestazioni ed i saggi riflettevano la coreografia del tempo. Ma, se si scrostava la corteccia dell’apparenza, emergevano subito le finalità educative ed organizzative dell’asilo; si poneva, infatti, come punto di riferimento per i figli della comunità altavillese e, soprattutto, per gli orfani della prima e della seconda guerra mondiale, per i figli dei minatori caduti sul lavoro e per i diversamente abili: questi ultimi, per l’amorevolezza degli altri bambini, subito si integravano nel gruppo. I testimoni hanno ricordato con affetto alcuni di questi ragazzi, dolci e sorridenti, molto bravi a giocare soprattutto ad acchiappariello, erano così veloci  che gli altri bambini non riuscivano ad afferrarli ed essi ridevano compiaciuti, sprazzi di vera gioia per i figli e per le mamme.

Qui si svolgevano le attività teatrali, le cosiddette recite.

Le sceneggiature e l’abbigliamento, fonti ineludibili per ricostruire un’epoca, riflettevano la società del tempo con i suoi usi, costumi e miti. Ad esempio, una fotografia del 1925 documenta una recita dal titolo Zingarelle e marinai, figure che già a fine Ottocento avevano colpito l’immaginario collettivo e la fantasia degli artisti; basti pensare alla canzone ‘O marenariello, del 1893 ed alla Carmen di Bizet del 1875.

Del resto, era l’età del colonialismo e dell’imperialismo, quindi la figura del marinaio costituiva una specie di icona per quei tempi: basti pensare all’usanza di vestire i bambini alla marinara, sia maschi che le femmine,  come dimostrano le foto d’epoca di famiglia, da quelle dei piccoli centri fino a quelle imperiali, come gli sfortunati figli dello zar Nicola II. Del resto Vestivamo alla marinara è uno dei ricordi più belli di Susanna Agnelli.

A tali manifestazioni partecipava tutta la comunità ed i rappresentanti istituzionali, i quali, nonostante le ristrettezze economiche, cercavano in tutti i modi di sostenere economicamente l’asilo, individuando ed escogitando altri canali di finanziamento.

Le spese per manutenzione di questo edificio diventavano, infatti sempre più enormi; già in una delibera del Consiglio comunale del giorno 31 marzo 1927 — due anni dopo la recita — essendo Podestà Cosimo Caruso, si parlava  di quattromila lire all’ anno — una cifra notevole, per quei tempi –; si deliberò, pertanto, per la manutenzione ed il canone di locazione, di istituire una “tassa sulle feste religiose”, dell’ammontare del venti per cento delle somme raccolte; una metà serviva per “soccorrere non poche persone in istato pietoso”, l’altra metà per finanziare l’asilo, anche nelle sue attività di vita ordinaria.

Pertanto, dopo la seconda guerra si ravvisò più che mai l’urgenza di costruire una nuova struttura:  per alleggerire le spese, per avere più spazio a disposizione, ma soprattutto per  adeguarsi alle nuove istanze pedagogiche, mortificate dall’ideologia del ventennio, per far fronte  ai problemi sociali ed educativi dell’infanzia, acuiti dalla tragedia della guerra. Interprete di quest’esigenza fu don Luigi Bonetti, un prete venuto dal Nord, arrivato ad Altavilla nel 1945 ove resterà per dieci anni. Lasciò per entrare nella Compagnia di Gesù e per essere nominato, poi, Parroco della Chiesa del Gesù Nuovo  di Napoli. nonché assistente spirituale dei medici cattolici.

Antonetta Tartaglia