L’arroganza del potere e il servilismo meridionale

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Di tanto in tanto riesplode la “questione meridionale” con segnali di grande pericolosità. C’è chi afferma che il Mezzogiorno sia “seduto” su un vulcano che potrebbe esplodere da un momento all’altro; chi, invece, pone in evidenza gli aspetti positivi come la crescita del turismo e chi guarda ai tentativi di penalizzazione del Sud annunciati sciaguratamente dall’autonomia differenziata, detta provvedimento “spaccaItalia”. Ciascuna di queste posizioni, a cui altre se ne potrebbero aggiungere, impone un suo spazio di riflessione.Nel primo caso (il sud che esplode) il riferimento è soprattutto alla riforma del Reddito di cittadinanza che, senza escludere lo spopolamento delle zone interne, la precarietà del lavoro, l’aumento della povertà, ecc., viene coniugato con una possibile rivolta da parte di chi ha fruito del provvedimento come strumento di sopravvivenza. Che la riforma del reddito di cittadinanza fosse necessaria è ampiamente dimostrato dagli abusi che si sono verificati. Non solo è aumentato il lavoro nero, (il sussidio in aggiunta al lavoro precario) ma questo tipo di sostegno economico è finito anche nel portafogli di criminali incalliti. In realtà, la misura, per come era stata adottata, rientra in quella forma di assistenzialismo che negli anni ha prodotto un disincentivo alla reale occupazione. Questo aspetto è aggravato anche dalla scarsa propensione dell’apparato produttivo meridionale, ammalato di individualismo, che lucra sui propri affari senza investire minimamente per il bene comune. Quale banca nel Sud (quando c’erano) ha, ad esempio, favorito lo sviluppo dei territori? Al contrario molti istituti di credito hanno spinto verso procedure fallimentari, oppure esagerato con i tassi non lontani dalla pratica dello strozzinaggio. In poche parole le banche sono state sul balcone a guardare il Sud agonizzante. Ma per tornare al Reddito di cittadinanza è evidente che la riforma, definita Mia (misura per l’inclusione attiva), potrebbe scatenare un malcontento fomentato anche da quella parte politica che ne ha beneficiato in termini di consenso.  Nel secondo caso il segnale positivo che viene dal Sud è nel grande balzo in avanti del settore turistico e nella forte presa di coscienza del valore del patrimonio ambientale di cui il Mezzogiorno ha grande disponibilità. Ma se c’è la carrozza, manca il cavallo. Perché a questo dato positivo si contrappone la difficoltà di reperire personale per far funzionare alberghi, ristoranti ecc, e anche quando vi si riesce non sempre si tratta di figure professionalizzate. Tradotto: è una ulteriore grande occasione che va sciupata. C’è da dire che solo da qualche anno nuovi fermenti si presentano sulla scena. Mi riferisco alla nascita di molte start up  prodotte dalla creatività e dall’impegno giovanili che sposano innovazione e modernità e che fanno intravedere un futuro di grandi speranze, mentre le Istituzioni si attardano a rincorrere corsi professionali di taglio e cucito o di settori ormai obsoleti.    Nella riflessione che riguarda il recente provvedimento del governo di destra c’è, infine, l’Autonomia regionale differenziata. Se il decreto Calderoli dovesse andare in porto senza modifiche auspicabili, il Mezzogiorno ne uscirebbe con le ossa rotte. Allo stato c’è solo una grande confusione che riguarda il riferimento alla spesa storica, con l’espropriazione del Parlamento a confrontarsi  sull’argomento e l’esclusione dei sindaci nel dare un loro contributo per migliorare il decreto. Si va avanti con l’arroganza del potere.Su tutto sfugge il ruolo della classe dirigente meridionale, giacobina a Roma, forcaiola nei territori da cui proviene.

Gianni Festa