Lavorare per ricostruire le comunità 

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Spesso, con le mie modeste riflessioni su queste pagine, ha ravvisato l’esigenza di ricostruire le nostre comunità a partire da quella di Avellino.
Ho cercato anche di chiarire che la ricostruzione non si riferiva al patrimonio edilizio urbano, ma al nostro agire, personale e collettivo, di persone portatrici di tensioni ideali, sociali, spirituali e politiche. Purtroppo gli ultimi episodi di patologia comunitaria, la gogna mediatica verso amministratori comunali democraticamente eletti e l’incendio dell’autovettura di Sabino Morano, ci costringono ad insistere sulla ravvisata esigenza nella speranza che ognuno di noi, ciascuno dalla sua postazione, nell’ambito relazionale e culturale di appartenenza, raccolga l’invito a rimboccarsi le maniche con un impegno che attraversa l’elaborazione delle idee e l’agire pratico quotidiano, personale e collettivo, per ripristinare quel connettivo storico, civile, politico e culturale che ha sempre caratterizzato il percorso storico della città di Avellino. Va, frattanto, fermamente evitato che il marasma politico e culturale che ha devastato i partiti tradizionali e che sembra fagocitare anche promesse delle nuove formazioni di rappresentanza democratica, non distrugga la nobiltà civile e sociale di una comunità laboriosa e intelligente come quella avellinese. Da parte di chi scrive, consapevole di non essere solo nello sforzo, ribadisco che l’obiettivo di promuovere, coltivare e realizzare, sia quello di una comunità aperta e pluralistica che sappia accettare la componente della soggettività accanto a quella della socialità come condizione basilare non solo per tutelare la vita associativa ma anche per far crescere la persona individuale, onde poter affrontare – in termini progettuali e non meramente utopici – i problemi che i processi di globalizzazione impongono sia alla collettività cha ai singoli individui. Nel caso della nostra Avellino credo che la reale voglia di cambiamento espressa dall’elettorato, con le ultime elezioni amministrative, sia proprio quella di consentire a tutti gli eletti unanime convergenza sulla urgente necessità di risolvere i problemi, vecchi e nuovi, con uno stile e una prassi amministrativa e trasparente, a partire dal rispetto di tutte le persone che hanno avuto il coraggio di scendere nell’agone politico, certamente non privo di insidie e responsabilità. La ricerca del bene comune, sempre più invocata ed abusata nella sua declinazione, presuppone la preliminare ricerca del rispetto comune come presupposto fondamentale per superare la confusione attuale tra la sfera individuale e la sfera sociale, sempre più opacizzate da una globalizzazione selvaggia che coinvolge le tecnologie, l’economia, la politica, ma anche dimensioni di ordine antropologico e psicologico. In questo quadro generale di riferimento, cedere alla tentazione della violenza e della gogna mediatica, è davvero sinonimo di sprovvedutezza e di scarso interesse per il bene comune nel senso più nobile della sua declinazione. Di fronte agli episodi sconcertanti richiamati diviene comprensibile la “fuga” nel privato che sembra caratterizzare il nostro tempo. Perché è soltanto in questa sfera, composta dalle limitate relazioni che ognuno intreccia nel corso della sua esistenza, che l’individuo può esercitare scelte e prendere decisioni che in qualche modo valgono a rassicurarlo sulla sua capacità gestionale e sulla propria identità. Su questo trionfo del privato si sono scritte molte pagine, elevandolo anche a rappresentante di quel nuovo individualismo narcisistico ed edonistico che sarebbe seguito dalla morte dei valori e delle grandi ideologie culturali, religiose e politiche che hanno accompagnato l’attuale fase del postmoderno. Siamo giunti, dice Sipovatsky, al crepuscolo delle idee nel cui ambito individui ed istituzioni non possono che ancorarsi ad una “morale senza obbligazione” capace di conciliare il cuore e la testa. A fronte di questa deriva va riaffermato il valore della persona, nella sua univocità, indipendentemente dalle sue appartenenze sociale, categoriale e politiche. Persone che valgono in quanto tali, capaci di pensare, scegliere ed agire in autonomia, perché possiedono come fondamentale prerogativa quella della libertà.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud