“Le donne non sono sole”, il centro antiviolenza “Alice e il Bianconiglio” non si ferma

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“Noi ci siamo. Non lasciamo sole le donne”. Lo ripete con forza Giusy Pamela Valcalcer, consulente psicologica del centro antiviolenza cittadino “Alice e il Buonconiglio”, gestito dalla cooperativa La Goccia. “Non possiamo abbandonare – spiega Pamela – le donne che abbiamo in carico. Sono oltre 170 provenienti da tutta la provincia e di ogni età che continuiamo a seguire. Fortunatamente in alcuni casi la situazione riesce a sbloccarsi, con separazioni e allontanamenti disposti dall’autorità giudiziaria o sistemazioni in case rifugio. Portiamo avanti il nostro lavoro in questi giorni di emergenza attraverso colloqui telefonici, videochiamate e messaggi whatssap. Per loro è molto importante avere un riferimento. Dall’inizio dell’entrata in vigore del dpcm che ha imposto a tutti restrizioni più rigide, in poco più di dieci giorni, abbiamo registrato 44 colloqui telefonici, 19 interscambi whatsapp, tre interventi di supporto istituzionale e due casi che hanno richiesto attivazione del codice rosso.  Questo tempo di emergenza ha costretto però la Regione a sospendere le borse lavoro. Invece, sappiamo bene come l’indipendenza economica sia fondamentale per incoraggiare le donne a denunciare”. Nei giorni scorsi era stata la consigliera di parità provinciale Vincenza Luciano a lanciare l’allarme sulla pericolosità della reclusione forzata per le donne costrette a convivere con il loro carnefice. “Solo in questa settimana – aveva ribadito Luciano – tre donne si sono rivolte alla casa rifugio “Antonella Russo”, perché vittime di violenza da parte dei loro aguzzini. A causa dell’emergenza coronavirus sara’ impossibile ospitare, per rispettare i protocolli di sicurezza impartiti dal Governo, tutte le altre che in questo momento dovessero trovare il coraggio di ribellarsi. Chiedo a tutti gli amministratori irpini e alle associazioni che operano sul territorio di dare la disponibilità ad accogliere queste donne, presso loro strutture, queste sorelle per tutelarne l’incolumità”.
Un appello rilanciato da Giulia Masi, presidente di GiuridicaMente Libere, realtà che ha un centro antioviolenza a Roma: “Immaginate cosa vuol dire essere una donna che subisce violenza in casa e non può andare a chiedere aiuto fuori”.
Ed i dati confermano come la quarantena non metta fine alla violenza. Anche se il rischio è che le donne non trovino il coraggio di denunciare, costrette a stare 24 ore su 24 con i loro carnefici. “Presso il centro Alice il Bianconiglio – spiega Valcalcer – siamo cinque operatrici, due consulenti psicologiche, una coordinatrice, una consulente legale e un’assistente sociale. Le norme di sicurezza non ci consentono in questi giorni di recarci al centro ma facciamo sentire la nostra presenza. La convivenza forzata può determinare il riacutizzarsi di angosce e tensioni legate al passto perché queste donne devono tenere sotto controllo la paura del virus e i timori nei confronti del proprio uomo. Noi cerchiamo di tranquillizzarle, ricordando loro che possono contare su di noi e in caso di rischio per la propria incolumità e quella dei propri figli devono chiamare le forze dell’ordine. Le donne devono ricordarsi che non sono sole e che l’ancora di salvezza può essere solo denunciare e chiedere aiuto, senza alcuna vergogna. Il numero del centro è 3277317827. Purtroppo, il dato che emerge è che la violenza sulle donne è, oggi più che mai, un fenomeno trasversale che coinvolge le diverse fasce sociali, senza distinzione di età o di censo”.
Altro dato costante, l’impossibilità di contare su finanziamenti stabili “Una boccata d’ossigeno era quella rappresentata dal progetto Kairos, finanziato dalla Regione Campania nell’ambito dell’Avviso Pubblico S.V.O.L.T.E. per l’orientamento al lavoro delle donne ma ci sarebbe bisogno di un sostegno forte e stabile dalle istituzioni. Ma le borse lavoro della Regione sono state sospese come qualsiasi attività legata al sociale finanziata dalla Regione”. Il dato è sempre lo stesso. Dallo stanziamento dei fondi dallo Stato alle Regioni e dalle Regioni ai centri passano mesi e mesi, con meccanismi di ripartizione complicati e ad alto tasso di burocrazia.