Corriere dell'Irpinia

Le elezioni alla Provincia e la crisi della politica irpina

Il rinnovo della Presidenza della Provincia e la situazione di paralisi che si sta profilando al Comune capoluogo, rappresentano il segno di una crisi profonda. Una crisi profonda che attraversa la politica in Irpinia, terra di antiche e nobili tradizioni di classi dirigenti. Ma procediamo con ordine. La prossima scadenza dell’elezione del nuovo Presidente della Provincia non promette nulla di buona. A condizionare nel bene o nel male questo appuntamento sarà ancora il Pd che in Irpinia detiene il maggior numero di sindaci. Un partito però dilaniato da lotte interne e attraversato da profonde divisioni, con un segretario provinciale e una dirigenza non riconosciuta da un altra componente significativa del partito, che resta fuori da via Tagliamento, arroccata su in insolito Aventino, pronta a scendere a condizione di un azzeramento dell’attuale dirigenza e di conseguenza la celebrazione di un nuovo congresso. Un tormentone che da mesi avviluppa un partito dominato dalla sindrome tafazziana con una buona dose di masochismo, come è successo con la precedente elezione alla Provincia, dove il Pd ha eletto la maggioranza dei consiglieri ma non ha eletto il Presidente. L’allora sindaco di Avellino Paolo Foto fu battuto dal sindaco di ArianoMimmoGambacorta, il cui partito di appartenenza Forza Italia ottenne solo pochi consiglieri. Un primo e clamoroso karakiri del Pd a cui ne è seguito un secondo ancora più eclatante Alle ultime elezioni amministrative al Comune di Avellino al primo turno il Pd e la coalizione di centrosinistra hanno ottenuto il 53% mentre il candidato sindaco Pizza si è fermato al 43%, risultando addirittura sconfitto al ballottaggio. Due episodi che confermano la prova che il Pd sa farsi male da solo. E poiché non c’è due senza tre, il Pd rischia di rimediare un’altra figura barbina alla prossima elezione del Presidente della Provincia, fissata per la fine di ottobre. Le premesse non sono esaltanti. Pullulano le candidature tra quelle dichiarate e quelle più celate da tatticismi delle varie correnti che si fronteggiano all’ interno e all’esterno del partito, con una rete di intrighi e di veleni degni della peggiore camarilla. Con queste premesse si rischia di nuovo il capitombolo a meno che non vi sia il protagonismo assoluto dei sindaci del PD che esercitando un ruolo di supplenza si sostituiscono nell’ indicazione a un partito dimezzato che nella disperata situazione in cui versa non è assolutamente in grado di indicare un nome unitario per la Presidenza. Un accenno in questo direzione è avvenuto prima con l’ intervento del sindaco di Montemarano Beniamino Palmieri e poi con il sindaco di Montoro Mario Bianchino. Sarebbe opportuno che i sindaci del PD prendessero coraggio a quattro mani e spogliandosi da ogni forma di appartenenza correntizia decidessero in autonomia il nome per la Presidenza, utilizzando per la scelta ogni forma tra cui anche un’ eventuale votazione tra nomi diversi, con l’impegno di sostenere il candidato prescelto. Forse questo potrebbe essere il primo passo verso una ricomposizione e un rilancio del Pd , buttando alle spalle un passato poco glorioso. Una situazione ancora più sconvolgente avvolge il Comune capoluogo, dove un sindaco che non ha la maggioranza scimmiotta un decisionismo inconcludente e persino farsesco, spingendosi a teorizzare il Governo assoluto della minoranza in barba alla democrazia che declina tra i suoi principi fondanti quello dei numeri, dettaglio non secondario in un consesso civico come quello di Avellino dove il primo cittadino dispone di soli cinque voti contro i restanti 27 consiglieri verso i quali non opera alcuna convinzioni ma solo una declamata costrizione a votare i provvedimenti, in virtù di un’elezione diretta che secondo il primo cittadino e i suoi sponsor politici è fonte di assoluta legittimazione per il governo della città. Uno spergiuro quello del sindaco che mortifica la grande tradizione civica di Avellino, esponendo la città a un ludibrio nazionale come è avvenuto per le linee programmatiche copiate dal Comune di Verona. Far cessare questa pantomima è un dovere che i consiglieri devono assumersi, dimettendosi dalla carica e ponendo fine ad un’esperienza che ormai sta sempre di più assumendo i contorni del surreale.

di Giandonato Giordano edito dal Quotidiano del Sud

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