Le elezioni e il futuro del governo

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L’appuntamento elettorale del prossimo 20 e 21 settembre è come in molti hanno scritto un autentico spartiacque per la legislatura iniziata nel marzo del 2018. Due anni e mezzo che per la politica italiana sono sempre articolati e complessi. Due governi nettamente diversi guidati da un Presidente del Consiglio che nemmeno si era presentato alle elezioni. Un avvocato fino a qualche tempo fa che è stato chiamato dai due partiti anti casta (Lega e Cinque Stelle) a comporre il difficile puzzle del dopo voto e poi con una maggioranza diversissima a gestire la fase drammatica dell’emergenza sanitaria unita a quella economica. Le regionali, le comunali e il referendum sulla riduzione dei parlamentari sono dunque uno snodo cruciale soprattutto per la maggioranza. La strana alleanza PD-Cinque Stelle deve dimostrare la sua tenuta e scacciare i fantasmi di una presunta fragilità della coalizione giallo-rossa. Si è detto più volte che PD e grillini sono uniti sostanzialmente dall’anti salvinismo. Un collante forte quando il governo si è formato ma oggi più debole perché per stare insieme ci vuole una identità di vedute che appaiono quasi inesistenti. Se guardiamo alle amministrative mentre il centrodestra si presenta unito l’alleanza di governo non si è formata in nessuna delle sei regioni al voto. Solo in Liguria c’è l’intesa tra Pd e Cinque Stelle ma senza i renziani. La matematica si sta sbizzarrendo. I conti oscillano tra un 4-2 ad un 3-3 fino ad arrivare al catastrofico per il centrosinistra 5 a 1. Tradizionalmente i Cinque Stelle non vanno mai particolarmente bene nelle elezioni amministrative mentre il PD è un partito di governo nazionale e locale. Perdere, ad esempio, la roccaforte della Toscana sarebbe un disastro per la segreteria Zingaretti e la battaglia si annuncia epocale come quella combattuta qualche tempo fa in Emilia. Il leader del PD non è riuscito a stringere un patto con i Cinque Stelle che sarebbe stato molto utile per evitare ricadute negative sul governo e adesso in caso di sconfitta a rischiare è anche lui oltre al premier Conte. L’appello lanciato agli elettori grillini è quello al voto disgiunto che permette di votare sia il partito di appartenenza che il candidato governatore di un altro partito. Uno strumento legittimo anche se per alcuni illogico. In almeno due regioni (Puglia e Toscana) è forse l’unico modo per i candidati governatori del PD di centrare l’elezione. Un modo insomma per costruire un’alleanza con gli elettori visto il fallimento dell’intesa tra i partiti. A rischiare di più è ovviamente il PD mentre i Cinque Stelle possono intestarsi l’eventuale vittoria del referendum costituzionale. Il partito di Zingaretti ha votato tre volte no in Parlamento e una sola volta a favore del taglio di deputati e senatori e deve adesso non contraddirsi e per questo conferma il sì al referendum soprattutto per non compromettere la stabilità del governo e dell’intesa con i Cinque Stelle. Dopo il 21 settembre si capirà insomma il destino della legislatura e di un governo che come ha scritto Federico Geremicca sulla Stampa “è sopravvissuto a se stesso per il dilagare di un virus che gli faceva strage intorno, è dovuto tornare a fare i conti con la propria evidente fragilità. Non che con la fine del lockdown sia andato tutto storto, s’intende: si pensi alla battaglia vinta in Europa sui fondi da stanziare per l’emergenza Covid. Ma proprio l’uso e la destinazione della pioggia di miliardi in arrivo (come? a chi? con quali progetti?) ha cominciato a risollevare il velo sulle troppe contraddizioni di una maggioranza nata dalla paura del voto e mai riuscita a darsi un po’ di coraggio”.

di Andrea Covotta