Le epigrafi e il Museo Irpino

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E’ ritornata a Frigento l’epigrafe di C. Quinzio Valgo, il magistrato eclanese, che ivi costruì le cisterne romane, oggi ben restaurate e ben visibili, quasi nel centro cittadino; ciò mi ha fatto immensamente piacere, poiché il problema che a Frigento in qualsiasi modo vi fosse una testimonianza del costruttore di quest’opera di carattere idrico fu posto e suggerito dal sottoscritto non per incidens, ma volutamente in un articolo riguardante due eminenti figure locali: l’avv. Agostino Testa ed il dott. Cicco Saverio Flammia. Del resto l’epigrafe di Valgo non riguarda soltanto la costruzione delle cisterne , ma anche altre importanti opere pubbliche di carattere edilizio, come si evince dal testo letto da K. Kajava e H. Solin , riportato in Epigraphica, periodico internazionale di epigrafia 1997: “C. Quinctius C. f.Valgus,/ L. Sepunius L. f. quinq(ue)n(nales)/ murum, portas, forum/ porticus, curia( m) cisterna(m)/ d(e) d(ecurionum) s(ententia) facie(nda) curar( unt) eid(emque) prob(arunt)”. All’epigrafe di C. Q. Valgo che mi auguro venga esposta davanti alle cisterne che è il posto idoneo che le spetta e non tenuta all’oscuro in qualche locale, è uscita dal Museo Irpino un’altra iscrizione frigentina a carattere pubblico, proveniente egualmente dalla locale cattedrale, come la prima, che mette in evidenza lavori di edilizia del portico munito di maeniana, cioè di balconate che si sviluppavano intorno al foro destinate ad accogliere un maggior numero di spettatori in occasione degli spettacoli, nonché di un arco, fornix, attraverso il quale c’era l’adito al foro. I lavori furono eseguiti dal quatuor’viro M. Palius, come recita la relativa epigrafe di cui si son interessati, egualmente come sopra, K. Kajava eH. Solin e della quale si riporta il testo: “M. Palius M. f. IIII vir/ i(ure) d(icundo) d(e) s(enatus) s(ententia) porticum / quom Maenianei [s]/ in foro et fornic[em]/ qua in forum eitu[r] f(aciendum) c(uravit) i(dem) q(ue) p(robavit)”… “(di qua non è fornicem il correlato, essendo forum maschile, ma da intendere qua via); quom è la preposizione scritta alle volte cosi”. Per quanto concerne le due iscrizioni provenienti dalla cattedrale di Frigento, trattandosi di due monumenti epigrafici che riferiscono, appunto, di lavori pubbblici eseguiti a Frigento stesso, è stato bene e opportuno che siano ritornati in loco anche perché l’iscrizione del quatuor’viro M. Palius potrebbe ipotizzare che questo centro montano irpino sia stato probabilmente Municipium, poiché la magistratura del quatuor’virato era esclusivamente privilegio dei municipia, come del resto attestano anche le epigrafi di Aeclanum prima che assumesse lo stato di colonia sotto il principato di Adriano nel 120 d. C. Infatti, con la nuova istituzione giuridica, cioè da Municipium a Colonia, ad Aeclanum la magistratura del quatuor’viro fu sostituita da quella di duo viro. Di Frigento sappiamo ben poco; è stato municipium e successivamente incorporato nel territorio di Aeclanum? La storia su questo ameno ed interessante centro non riferisce quasi niente, eccetto le due epigrafi che attestano appunto la realizzazione di notevoli opere pubbliche che , certo, non potevano essere costruite in pagi o vici , ma in un centro di notevole interesse e con una popolazione abbastanza numerosa in proporzione alla densità demografica del tempo . A titolo informativo, posso affermare che il noto archeologo, prof. Werner Johannowsky, era convinto che Frigento fosse Municipium romano, ma sine territorio. Oltre ai due reperti testè citati della cattedrale, sono usciti dal Museo Irpino anche due epigrafi funerarie ed un cippo graccano, recuperato quest’ultimo in contrada Pagliaia, ma probabilmente rinvenuto in tempi lontani nel territorio di Migliano o di Rocca S Felice. Le due epigrafi funerarie sulla storia di Frigento non dicono proprio niente e, quindi, non era proprio opportuno e necessario che la Soprintendenza ne autorizzasse il prelievo dal lapidario del Museo; il cippo graccano, poi, accoppiato ad altri due che il sottoscritto riuscì anni addietro ad ottenere in deposito permanente dagli eredi di Vincenzo Maria Santoli che ne fu lo scopritore in territorio di Rocca S. Felice, non doveva assolutamente essere rimosso, poiché insieme ai due monumenti graccani testè evidenziati, costituiva una piccola silloge da non scomporre. In questo la Soprintendenza ha agito con molta magnanimità concedendo più del necessario richiesto, o non richiesto, per un semplice atto, penso, di deferenza verso il direttore generale dei Beni culturali che è una stimata persona frigentina. Certamente, in questa operazione di rimozione dei reperti di pertinenza del Museo Irpino dal suo lapidario, in verità, non credo che non vi sia stato il concorso dell’Amministrazione provinciale e del responsabile direttore del Museo stesso i quali, però, hanno un’attenuante, poiché la competenza in questa materia è esclusivamente della Soprintendenza che, tra l’altro, è tenuta ad intervenire anche circa la buona conservazione della suppellettile archeologica del Museo Irpino, in questo caso, litica, che è in uno stato più che deplorevole. Costituito da pezzi a carattere funerario in maggioranza, a carattere pubblico e da qualche scultura con iscrizione, il lapidario del Museo Irpino, che emerge numericamente fra quelli dei Musei provinciali della Campania, era dignitosamente sistemato nel ridente giardino adiacente al Complesso Culturale di Corso Europa che ospita ilMuseo e la Biblioteca provinciali; Il giardino era un vero parco archeologico con le iscrizioni ben sistemate per provenienza e saltuariamente pulite e rese leggibili. Successivamente, la mente innovatrice di qualche personaggio, di cui ignoro il sesso, partorì l’idea di trasferirlo nel cortile del Carcere borbonico con l’aggravio di una notevole spesa di milioni di lire, staccandolo, così, dalla sua sede naturale annessa al Museo del quale era il biglietto di presentazione ben conosciuto da scolaresche, visitatori e passanti. Anzi, il più delle volte, gli studenti del liceo classico, in visita al Museo, con il professore di latino si esercitavano ad interpretare qualche iscrizione dal testo più accessibile. Ora il notevole ed interessante lapidario del Museo Irpino è in Carcere a scontare l’ottusità della mente innovatrice di quel personaggio che ne decretò il distacco dall’originaria sistemazione, dove svolgeva una funzione didattica in condizioni di dignitosa presentazione. Adesso giace in una situazione deprecabile, sperando fermamente che sia restaurato e risistemato nella primitiva sede. Nella primitiva sede, all’interno del cortile del Museo stesso, quasi vicino ai due cippi graccani di Rocca S. Felice, dove era collocato, è opportuno che ritorni il cippo di contrada Pagliara, per il motivo predetto. Su questo ci ripensi la Soprintendenza ed i frigentini non se la prendano; ammiro il loro paese tanto è vero che il problema dell’epigrafe di Caio Quintio Valgo perché ritornasse a Frigento è stato posto proprio dal sottoscritto; dopo di che qualche solerte frigentino intelligentemente si è subito attivato presso gli organi competenti per raggiungere lo scopo. A chiusura della stesura del presente scritto mi è stato consegnato pro mainibus una pubblicazione del prof. nonché attento studioso, Vito Giovanniello, puro frigentino, dal titolo, “Frigento romana”, edita da DELTA 3. Il volume che si presenta in una veste tipografica semplice e dignitosa con una copertina più che originale, poiché sul davanti e sul retro è riportata magnis litteris in colore marrone su fondo giallino l’epigra – fe di Caio Quinzio Valgo e tre monete anch’esse di colore marrone di diversa dimensione, sotto le quali si legge: Valetudo, Senatus consulto, Victoria. L’opera consta di 188 pagine, 76 foto nel testo, ed 11 tavole in disegno che minuziosamente illustrano la composizione delle cisterne. Tra le foto, la n. 19 evidenzia la Tabula Peutingeriana con un tratto in rettangolo del precorso irpino della via Appia e, alla pagina 177, un’altra foto, la n. 48, mette in risalto il territorio irpino compreso tra i fiumi Ufita, Fredane e Calore con i vari nomi prediali, esclusi quelli di Ariano e dintorni. Il resto delle foto si riferisce alle iscrizioni frigentine e centri confinanti e alle cisterne romane delle quali con perspicacia degna del vero studioso, viene data dettagliata descrizione, corredata puntualmente di note storiche che arricchiscono e amplificano la conoscenza di questa maestosa opera di ingegneria. Senza dubbio le cisterne sono l’orgoglio dei frigentini per cui Vito Giovanniello attraverso le foto i disegni e la descrizione ha puntigliosamente penetrato nel meandro di questa antica realizzazione di contenuto artistico romano, rendendola per conoscenza accessibile a tutti quelli che leggono l’opera, che esorto di leggere, perché ne vale la pena. La parte, però, che merita una particolare attenzione e considerazione di Frigento romana nel lavoro di Vito Giovanniello, sono le iscrizioni per le quali è evidente il suo ammirevole impegno non solo nel metterle insieme, ma sopratutto nel trascriverle, integrandole, dove necessario, con l’aggiunta ad ognuna di esse della traduzione in italiano, del commento del contenuto del testo e della derivazione del personaggio e della gens menzionati, cosa non semplice. Senza dubbio, quest’opera, “Frigen – to romana”, è frutto di un impegno certosino con competenze storiche ed epigrafiche che Giovanniello in più occasioni ha dimostrato umilmente di possedere. Nel concludere questa mia breve nota su ”Frigento romana” che per il suo contenuto intrinseco meriterebbe molto, molto di più, ritengo opportuno, solo per dare un’dea della complessità e dell’ articolato lavoro che essa, oltre alla premessa, si compone di tre sezioni: Le iscrizioni latine dell’ager frigentino – Le cisterne romane – I nomi prediali con l’aggiunta dei segni convenzionali, del glossario, delle località menzionate nella rassegna e delle referenze bibliografiche. Auguri, Vito e semper ad maiora.

 

Di Consalvo Grella pubblicato il 19/04/2015 sul Quotidiano del Sud