Le implicazioni di una tragedia 

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La tragedia del ponte Morandi, con il suo carico di vittime ancora da conteggiare esattamente, di danni irreparabili e di sfollati da sistemare in una Genova spaccata in due al centro di un’area nevralgica del paese, ha colto l’Italia in piena vacanza e il governo alle prese con la preparazione della manovra economica d’autunno, che ora dovrà tener conto di un’emergenza grave e imprevista che costringerà i ministri economici e le forze politiche di maggioranza a rivedere progetti e redistribuire le scarse risorse disponibili.

Lo scenario che si apriva sulla vigilia di Ferragosto è completamente mutato in peggio, come inghiottito da quei duecento metri di viadotto crollati nel Polcevera con il loro carico di vite umane e di automobili. Martedì scorso, ventiquattr’ore prima del disastro, la presidenza del Consiglio aveva diffuso una nota, frutto di uno scambio di telefonate fra il presidente Conte e i ministri Di Maio, Salvini e Tria, tesa a rassicurare i mercati sulle prospettive programmatiche di settembre in ordine alla conciliazione degli obiettivi del governo con la stabilità delle finanze pubbliche, garantendo “la continuazione del percorso di riduzione del rapporto debito/Pil”. L’interpretazione corrente voleva che la nota chiarificatrice fosse stata voluta insistentemente dal ministro del Tesoro per arginare le richiese dei due vicepresidenti del Consiglio che puntavano ad una manovra espansiva per poter mantenere le promesse elettorali su riduzione del carico fiscale, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero, anche a scapito della tenuta dei conti dello Stato e dei vincoli europei.

Ora, se l’equilibrio prefigurato alla vigilia di Ferragosto era già di per sé pericolante, ecco che l’improvvisa mazzata che ha colpito Genova costringe tutti a riconsiderare priorità e poste di bilancio. In queste concitate ore non è stato certamente possibile quantificare i costi economici dei soccorsi, della ricostruzione, della prevenzione necessaria per scongiurare il ripetersi di simili sciagure; eppure qualche cifra è stata fatta anche da esponenti del governo, e quindi può servire per farsi un’idea. I cinque milioni stanziati a tamburo battente per i primi interventi sono poca cosa; ma già la decisione di decretare lo stato d’emergenza a Genova per 12 mesi delimita l’arco temporale previsto per il ritorno alla normalità, naturalmente con le relative spese. Tra le quali andrà conteggiato anche l’impegno assunto da governo ed enti locali di assicurare, sempre entro un anno, un’abitazione alle oltre 600 persone costrette ad abbandonare le loro case coinvolte dal crollo o minacciate da altri cedimenti del viadotto. Se si pensa che due anni fa il terremoto del Centro Italia provocò, oltre ai 300 morti, circa diecimila sfollati, ancora non tutti ospitati nelle “casette” provvisorie nel frattempo costruite, si capirà qual è l’entità dell’impegno, doveroso, beninteso, assunto per Genova.

C’è poi il capitolo ben più consistente, della messa in sicurezza della intera rete infrastrutturale italiana, la cui fragilità è stata drammaticamente evidenziata nel bel mezzo dell’estate. Saranno necessari, ha detto Salvini, almeno 40 miliardi, naturalmente non tutti e subito, ma certamente da impiegare con una programmazione accurata ma anche ben cadenzata, a cominciare da subito. Si tratta del doppio della cifra ipotizzata per la manovra economica d’autunno, e già questo dato fa capire come sia necessario ripensare alle necessità del paese e rielaborare i progetti con una nuova scala di urgenza. Flat tax e reddito di cittadinanza potrebbero passare in secondo piano.

L’emergenza provocata dal disastro di Genova richiede un sussulto di solidarietà nazionale, che non è mai mancata in circostanze simili anche recenti, e che si è subito manifestata nell’intervento immediato e senza risparmio dei vigili del fuoco, della protezione civile delle forze dell’ordine. Ma la fretta con cui uomini del governo e lo stesso presidente del Consiglio hanno individuato i responsabili della tragedia e dei lutti, indicandoli all’opinione pubblica e quasi minacciando punizioni esemplari e indiscriminate, più che favorire la necessaria concordia nazionale, può alimentare un clima di odio e di rancore sociale che potrebbe sfuggire di mano e portare ad esiti incontrollabili. Naturalmente le responsabilità vanno accertate e gli inadempienti puniti in maniera esemplare, ma in ogni caso la condanna non può precedere il giudizio.

Un ponte è una struttura che collega fisicamente due luoghi e consente la comunicazione fra di essi. Il crollo di un ponte impedisce la comunicazione, e ciò è già di per sé un male, ma sarebbe ancor più grave se il crollo del ponte Morandi a Genova accentuasse la spaccatura in due di un intero paese, che mai come oggi ha bisogno di comunicare con se stesso.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud