Le incognite di una riforma legittima 

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Il clamore sollevato in Parlamento e nelle piazze dai grillini e dagli scissionisti del Pd, in un clima già da campagna elettorale, non favorisce un freddo esame della legge Rosato, approvata agevolmente (375 favorevoli, 215 contrari nell’ultima votazione segreta) alla Camera e che ora si presenta al vaglio del Senato dove i numeri sono molto più risicati e il tempo stringe, vista la necessità di condurre in porto il provvedimento prima dell’inizio della sessione di bilancio. Proviamo allora a riassumere la questione in termini comprensibili, sgombrando subito il campo dalla polemica sulla fiducia posta dal Governo, che sarà stata pure una decisione politicamente discutibile, ma non è certamente illegittima dal punto di vista costituzionale, trattandosi dell’ultima opportunità offerta dal calendario per approvare le nuove regole di voto in tempo utile prima della fine della legislatura.

L’alternativa sarebbe stata quella già da tempo adombrata pur con tutti i dubbi del caso: un decreto contenente le misure minime per rendere omogenei i due sistemi elettorali scaturiti dalle sentenze della Corte Costituzionale, che divergono su punti essenziali come le soglie di sbarramento o la rappresentanza di genere. Insomma, se la riforma non passerà (il rischio c’è ancora) si andrebbe ad un provvedimento d’urgenza, con una forzatura ancor più drastica della dialettica parlamentare di quanto non sia il voto di fiducia, e il rischio aggiuntivo dell’impossibilità di convertire il decreto negli scampoli di legislatura rimanenti. Sarebbe allora il nuovo Parlamento a dover decidere sulla legittimità della legge che ne avrebbe determinato la composizione. Un pasticcio incomprensibile.

Nel merito, il testo che ha come primo firmatario il capogruppo del Pd risponde ad alcune delle esigenze poste nel corso dell’ampio dibattito apertosi dopo la duplice parziale bocciatura costituzionale delle due leggi vigenti per Camera e Senato. Armonizza il sistema per i due rami del Parlamento, con un opportuno bilanciamento fra maggioritario (232 deputati e 102 senatori eletti direttamente nei collegi), e proporzionale; assicura la riconoscibilità dei candidati da parte dell’elettore, che troverà sulla scheda i nomi proposti dai partiti in lizza e quindi potrà scegliere se votarli o meno, pone una soglia di accesso del 3% e limita il ricorso alle liste civetta stabilendo che non potranno accedere al riparto dei seggi quelle che non supereranno l’1%.
Insomma, il sistema proposto ha una sua logica: principalmente prende atto della realtà e dell’evoluzione politica del corpo elettorale, non più diviso fra due grandi blocchi – centro – destra e centrosinistra – ma frantumato in tre o quattro raggruppamento, uno dei quali, il centrodestra, a sua volta articolato al suo interno in tre tronconi che non sempre vanno d’accordo (si sono divisi anche giovedì alla Camera).

In questa situazione, inedita da venticinque anni a questa parte, il sistema elettorale ora disegnato favorisce la formazione, dopo il voto, di coalizioni tendenzialmente omogenee anche se a composizione potenzialmente variabile, in quanto è ben possibile che una rappresentanza parlamentare frammentata, dovuta al largo tasso di proporzionale (due terzi degli eletti) dia luogo ad alleanze mutevoli, come peraltro è già avvenuto in regime di maggioritario. E tuttavia, non essendo possibile né lecito chiedere ad una legge di forzare la realtà, ci troviamo di fronte ad un apprezzabile tentativo di chiudere una questione, quella del sistema di determinazione della rappresentanza, che ha percorso l’intera XVII legislatura.

Il fatto che la conclusione sia arrivata, o stia per arrivare, all’ultimo giro di pista, spiega il clima di tensione di queste settimane, che potrà ulteriormente accentuarsi se i parlamentari grillini decideranno, come è stato adombrato, di dimettersi in massa per protesta, accendendo la miccia di una campagna elettorale esplosiva. Poi, naturalmente, bisognerà attendere il responso delle urne per capire se la riforma corrisponde alle attese dei partiti che l’hanno proposta e votata. L’incognita resta: anche con questa legge, insomma, saranno gli elettori ad avere l’ultima parola.

di Guido Bossa edito dal Quotidiano del Sud