Le origini della Repubblica e la Costituzione italiana

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Al tempo in cui fu fatta l’Unità politica dell’Italia per opera di patrioti, intellettuali e rivoluzionari, molti dei quali appartenenti a importanti ambienti intellettuali mondiali e a società segrete, la Monarchia Sabauda recitò un ruolo, fattivamente e simbolicamente, determinante, in aperto contrasto con lo Stato Pontificio. La Repubblica che nasce nel giugno del 1946, sotto il protettorato statunitense e, questa volta, con la benedizione della Santa Sede, è originata dai partiti del CLN. E, la maggiore eredità culturale e morale che i partiti storici antifascisti hanno lasciato è rappresentata dal contenuto valoriale della Costituzione; proprio quella Carta costituzionale, da sempre, oggetto dei pareri più controversi. Due sono le grandi ramificazioni del costituzionalismo moderno. La prima, rispondente alle teorie hamiltoniane e madisoniane, è concentrata, prevalentemente, sulla limitazione del potere attraverso la costruzione di pesi e contrappesi. La seconda, fondata su princìpi e norme, si contraddistingue per avere forte carattere politico-programmatico ed è completata da una coerente architettura istituzionale. I padri costituenti della Repubblica Italiana scelsero la seconda tipologia, lasciando non pochi strascichi nei decenni successivi. Nella lettura e nell’interpretazione del dettato costituzionale, la tesi sostenuta, ormai quasi all’unanimità, è l’indirizzo politico-programmatico vincolante degli articoli riguardanti i rapporti etico-sociali ed economici. Questo comporta problemi di non poco conto, mai affrontati approfonditamente, per la valutazione del valore realmente effettivo del potere democratico in Italia. Per farla breve, come può un partito contemporaneo, che non contempla nella totalità tali valori, realizzare, dopo averlo liberamente presentato alle elezioni, il proprio programma di governo, essendo le sue idee politiche in collisione con quanto dettato dalla Costituzione, considerata la natura programmatica di quest’ultima? A questa domanda ne seguono altre, a catena. Il pluralismo dei valori, connaturato al regime democratico-liberale, nei sistemi costituzionali di questo tipo, risulta reale o finto alla prova dei fatti? I valori della società odierna sono identici ai valori di oltre cinquant’anni fa? Le garanzie giuridiche dei diritti sociali hanno uguale validità effettiva rispetto a quelle dei diritti civili? E via discorrendo. Il continuo verificarsi di inosservanza e di violazione dei precetti costituzionali dimostra i limiti del sistema ed, essendo molte norme metodicamente disattese, i continui richiami della Corte, la quale non ha alcuna legittimazione democratica diretta ma soltanto costituzionale, rendono le sue sentenze vincolanti politicamente, oltre che giuridicamente. Forse scopriamo che le Costituzioni a carattere politico-programmatico nascondono la pretesa di governare al posto dei parlamenti e dei governi? Ammetto che questo sia un quesito provocatorio ma, di certo, le costituzioni di questo tipo non hanno il pregio di adattarsi facilmente ai diversi momenti storici. Esse vivono più agevolmente nei tempi in cui sono state redatte. La Costituzione repubblicana, peraltro, non contempla e non contiene, in modo paritario, tutti i valori del suo tempo. L’impronta statalista, collettivista e assemblearista di estrazione social-comunista e cattolico-sociale, intrisa di dossettismo, prevale sulle altre ideologie di quel periodo, rappresentate minoritariamente. D’altra parte, non poteva essere altrimenti. Nell’Assemblea Costituente gli italiani avevano dato fiducia, nell’ordine dei voti ricevuti, a Dc, Psiup e Pci. Pertanto sarebbe stato quasi certo, come poi è risultato essere, che le minoranze assembleari non avrebbero mai avuto una pari influenza nell’imporre i loro valori, dovendosi accontatare di accordi di compromesso. Qui dobbiamo domandarci se le minoranze di allora siano ancora le minoranze di oggi e quale evoluzione ideologica abbiano avuto i partiti egemoni in quel tempo. Le Costituzione è una legge positiva, creata e scritta dall’uomo. E le leggi positive non vivono fuori dalla storia, non sono immutabili. La nostra, determinando princìpi e valori di un’epoca storica passata, necessita dei dovuti adeguamenti, senza pertanto dover essere snaturata e completamente rivoluzionata. Lo stesso Calamadrei non mostrò molta coerenza, nutrendo all’inizio alcune riserve, miste a un sottile sarcasmo, fino a cambiare opinione, convincendosi della assolutà congruità del carattere programmatico soltanto qualche anno dopo. Salvemini utilizzò parole sprezzanti, augurandosi che la Costituzione fosse cambiata quanto prima. In ogni modo la si pensi, uno dei più gravosi problemi giuridico-politici dell’Italia rimane questo, al di fuori di ogni discorso retorico e di ogni mitizzazione. E la questione è, prima ancora che costituzionale, assiologica e storica. Con questo non si può, tuttavia, negare che la fase repubblicana abbia trasformato in realtà il sogno delle élite politico-culturali italiane di epoca risorgimentale e post-risorgimentale, ricongiungendo, come auspicato da De Sanctis, la nostra Nazione con “i tempi nuovi”. L’Italia è diventata un Paese prospero e moderno grazie alla Repubblica.
Quirino De Rienzo