L’edicola di Sant’Andrea, le rotte del cristianesimo in Alta Irpinia 

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Adistanza di tempo, mi piace riportare quanto scrissi su un’edicola funeraria di S. Andrea di Conza, sulla quale, qualcuno, con cui casualmente ho avuto modo di parlare, resta erroneamente convinto che il monumento nella sua configurazione iconografica è di contenuto cristiano e che rappresenta una testimonianza del Cristianesimo in Alta Irpinia, come ha appreso da uno scritto riportato da una ben nota e accreditata Rivista, di seguito citata, ed anche per precisare circa una parola dell’epigrafe da me correttamente interpretata. Ecco, quindi, il testo del mio articolo edito in un opuscoletto in copie limitate e, pertanto, quasi sconosciuto: Mesi addietro fu rinvenuta sporadicamente nella località “Campo di Piano” di S. Andrea di Conza, territorio dell’antico municipium romano di Compsa, un’edicola funeraria, sistemata poi dall’Amministrazione Comunale nell’atrio del Comune. Di questo importante rinvenimento archeologico, in qualità di direttore delMuseo Irpino detti notizia con la relativa attribuzione cronologica in calce ad un opuscolo edito dall’Amministrazione Provinciale: “Il Mosaico restaurato da Abellinum nel Museo Irpino”. A distanza di tempo, però, per motivi di carattere storico-scientifico, ritengo doveroso di intervenire nuovamente sull’argomento, non per polemica, ma per dissipare false credenze e chiarire quanto è stato erroneamente scritto intorno all’edicola di S. Andrea di Conza sul periodico semestrale di studi e ricerche storico locali, Civiltà Altirpinia, luglio dicembre 1993. Con un articolo firmato sul predetto periodico si legge che il nuovo reperto archeologico conzano è di attribuzione cristiana, databile tra la fine del IV – inizi V sec. d. C., aggiungendo poi che esso rappresenta “una piccola testimonianza della diffusione del Cristianesimo in Alta Irpinia.” Ciò è completamente inesatto e fuorviante e non trova alcun riscontro nella tipologia del monumento che, inequivocabilmente, è pagano ed ascrivibile, senza dubbio, ad età augustea, intorno alla fine del I sec. a. C. La cronologia del IV-V sec. d. C. non trova alcun riscontro nell’iconografia dei due personaggi rilevati nello specchio facciale del monumento stesso, identificati tramite la seguente iscrizione ad essi sottostante: [M.] CASTRICIO M.F. GAL. NOVIAE Q.F. GA UXSORI (recte (UXORI) Circa l’iscrizione, doverosamente faccio rilevare che l’ultima parola della prima riga GA, il prof. Solin Heikki, epigrafista presso l’Università di Helsinki, al quale comunicai la notizia della scoperta, inviandogli anche il mio opuscolo, nel 1996 con i due colleghi, Mika Kajava e Kalle Korhonen, effettuò l’autopsia in loco del pezzo ed integrò la parola GA, in CAS/T[AE], che, in verità, non mi sembrerebbe esatta, poiché la G reca l’asticella verticale alla base del semicerchio per cui è una G e non una C.; quindi, la lettura corretta, integrata, di GA è GALLA, come si evince alla pagina 6 del mio opuscolo, riportata staccata dall’intera epigrafe, che si evidenzia, invece, alla pag. 3 nella sua effettiva composizione, senza integrazioni, con relativa foto. E’ ovvio quindi che GALLA , riportata nella sua giusta collocazione nel testo, tra NOVIAE ed UXSORI, va al dativo e diventa GALLAE. Tanto particolarmente in cortese chiarimento con i dott.ri Valeria Frino e Riccardo Bartolozzi che pubblicando l’edicola in questione sulla “RIVISTA di ARCHEOLOGIA , anno XXXIV-2010 di Giorgio Bretschneider Editore (che ricordo sempre con simpatia), di cui per caso sono venuto a conoscenza soltanto da qualche giorno, affermano in merito a GA: “l’integrazione proposta da Grella pur plausibile non è accettabile”. Non aggiungo commento, ma faccio solamente rilevare che il prenome GA è stato interpretato e proposto ante tempus proprio da Grella, esprimendolo al nominativo –GALLA-perchè riportato a parte, fuori il contesto dell’epigrafe. Perché inaccettabile, se i predetti ripetono GALLA giustamente al dativo, quindi GALLAE, in quanto non staccata dal contesto dell’epigrafe?. Ritornando a Solin, il risultato dell’autopsia poi venne pubblicato in EPIGRAPHCA, periodico internazionale di epigrafia, vol. LIX , 1997, p. 351 ss. con firma dello stesso Solin e dei suoi due citati colleghi con i quali, contemporaneamente, effettuò, altresi, l’autopsia ad una lastra in calcare del tipo lucano, collocata nell’ufficio tecnico del Comune che reca nello specchio epigrafico la seguente iscrizione, pubblicata egualmente in EPIGRAPHICA, come sopra, stesso vol., anno e pag.: “ D(IS) M(ANIBUS)./ FRUCTO ANTONIA IANUARIA CON/IUX ET FRUCTUS ET M/AXIMA ETMAXIMUSET / + ++++SPATRI B(ENE) M(ERENTI) F(ECERUNT)”. Dopo l’opportuna precisazione di carattere epigrafico, con l’aggiunta dell’iscrizione della lastra lucana, ritorno al mio articolo che cosi continua: La pettinatura di M. CASTRICIO, infatti, a frangia lunga sulla fronte, è peculiare del periodo di Augusto giovane ed il sinus della sua toga, reso stretto ed a pieghe addossate, è di tradizione repubblicana e si attarda fino al primo quarto del I sec. d. C. In più, è opportuno evidenziare, contrariamente a quanto è stato riferito dal predetto periodico, che M. CASTRICIO con la punta del pollice e dell’indice della mano sinistra, piegati con apertura ad occhiello, simile ad una D, come si può notare in un altro monumento coevo da Abellinum nel Museo Irpino, stringe un istrumentum e non l’asta di una croce cristiana; questo instrumentum da taglio che ha un’immanicatura a piccolo cilindro leggermente schiacciato e lama rettangolare con un lato appena dentellato e l’altro quasi arcuato, sfugge per ora ad un confronto sia pure approssimativo. Certamente, singolare nel suo genere, il predetto arnese da taglio non è un elemento isolato nel contesto dell’edicola, ma deve essere collegato al cavallo riportato sul frontone dell’edicola stessa, indicando cosi l’attività in vita del personaggio conzano attinente probabilmente alla pratica ippiatrica. Del resto, non è una novità scorgere su monumenti funerari di questo periodo, affiancati o nelle mani del defunto rappresentato, arnesi da lavoro, armi, insegne di magistrature municipali ed altri simboli che riferiscono, appunto, del suo stato sociale da vivo; sono questi i contenuti di quell’arte popolare o plebea in voga nelle colonie e nei municipi che, nonostante la romanizzazione, conservano ancora il substrato della loro cultura italica, permeata di esperienze del centro del potere. La moglie NOVIA, riprodotta nel tipico atteggiamento della Pudicitia, con il gesto delle mani non trasmette nessun messaggio muto cristiano, come afferma il citato periodico; siamo in pieno periodo pagano, alla fine del I sec. a. C. e la diffusione del Cristianesimo è ancora lontana di tre secoli. Questa dama conzana, inoltre, non ha niente che accosti il suo abbigliamento alle donne vissute tra il IV-V sec. d. C.; senza cercare altri particolari dimostrativi, basta esaminare la sua pettinatura che si svolge a nodus sul davanti della testa, in parte coperta dal velo. Tale particolare forma di acconciatura dei capelli era portata da Ottavia, sorella di Augusto, morta nell’11 a. C.; anche dopo la sua morte, per un breve periodo invalse la pettinatura detta all’Ottavia, come appunto testimoniano le evidenze archeologiche. L’epigrafe, poi, riportata alla base dell’edicola, come testè riferito, smentisce egualmente l’attribuzione cristiana di questo monumento funerario di S. Andrea di Conza, non solo per il tipo di scrittura, che è particolare del periodo augusteo, ma anche perchè da Caracalla (198-217 d. C.) scompare dai testi epigrafici il nome della tribù di appartenenza. Nel testo dell’epigrafe di S. Andrea di Conza, che è antecedente al periodo di Caracalla, è riportato il nome della tribù GALERIA alla quale era iscritto M. CASTRICIO; non è riportato, invece, quello della moglie NOVIA, perché le donne non avevano il privilegio dell’iscrizione alla tribù di appartenenza in quanto non pagavano censo e, pertanto, non avevano diritto al voto. NOVIA GA, quindi si legge NOVIA GAIA o ipoteticamente NOVIA GALLA, non NOVIA GALERIA, come riferito nel periodico ALTA IRPINIA. Infine, è opportuno precisare ancora che Compsa non ha mai coniato monete, né in periodo sannitico, né quando divenne municipium romano. Le due monete con la legenda COSANO o COZANO, citate in nota, sempre nello stesso periodico, si riferiscono a Cosa, attuale Ansedonia, nell’Etruria centrale presso Orbetello e furono coniate nel 273 a. C., prima che questo centro etrusco divenisse colonia romana; esse sono rappresentate con la testa di Marte al diritto e con una protome di cavallo al rovescio; sono identiche alle monete romano-campane, coniate all’incirca nello stesso periodo. L’unica città nel territorio del Sannio irpino che ha emesso con certezza moneta è stata Beneventum nel 268 a. C.; i suoi esemplari, molto rari, al diritto recano la testa di Apollo e al rovescio un cavallo che avanza a destra, perfettamente identico a quello riportato sull’edicola conzana. Controversa è invece l’assegnazione delle poche monete con l’etnos AKUDUNNIAD; da una parte vengono considerate emissioni dell’Aquilonia irpina, oggi Lacedonia e, dall’altra, emissioni dell’Aquilonia del Sannio Pentro, oggi Monte Vairano. Dopo quanto premesso, l’edicola di questo antico centro irpino deve rientrare nella sua giusta considerazione di monumento figurato pagano , databile intorno alla fine del I sec. a. C. e non cristiano del IV-V sec. d. C. ; il Cristianesimo è ancora molto lontano rispetto al periodo effettivo In cui vissero i coniugi riprodotti sull’edicola in questione : M. CASTRICIO e la moglie NOVIA. CONSALVO GRELLA Ringrazio Pompeo Russoniello e Cassese Donato che cortesemente a suo tempo mi resero partecipe del rinvenimento.

Di Consalvo Grella pubblicato il 21/12/2014 sul Quotidiano del Sud