L’incognita della legge elettorale

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Come prima di una battaglia gli eserciti si studiano allo stesso modo si stanno comportando le forze politiche. A suonare il gong della ripresa delle ostilità è stata la Corte Costituzionale e adesso la partita sulla durata del governo e dunque della legislatura si può giocare. Gli ultimi anni sono stati accompagnati dalle riforme. Quella costituzionale voluta fortissimamente da Renzi e bocciata dagli italiani, quella elettorale prima con la stroncatura del Porcellum e poi dell’Italicum sempre ad opera della Corte. Adesso teoricamente si potrebbe andare al voto ma con un sistema che non garantisce l’immediata individuazione di un vincitore dopo la chiusura delle urne. La fine della seconda Repubblica che su questo “mito” si è retta e l’incertezza di una nuova fase. Insomma nella prossima legislatura la condizione di partenza è di una grande frammentazione e di fatto nessuna maggioranza possibile. Resta l’unicità dell’Italicum, una legge elettorale cancellata senza mai neppure una prova elettorale. E adesso ci si interroga per l’ennesima volta sul sistema di voto. Caduto il proporzionale della Prima Repubblica e dei partiti ideologici non si è mai trovata una legge che riuscisse a coniugare governabilità e rappresentatività. Il Capo dello Stato che assiste dall’alto del Quirinale a questo agitarsi scomposto indica una strada: una legge elettorale omogenea e possibilmente a prova di ricorsi per evitare che in futuro sia ancora una volta la Consulta a sciogliere dei nodi che appartengono al Parlamento. I sistemi elettorali di Camera e Senato delineati dalla Consulta favoriscono il ritorno dei partiti che però come ha scritto il politologo Ilvo Diamanti “sono sempre più deboli. Lontani dalla società e dal territorio. Il Pd, in particolare appare sempre più diviso. Il malessere delle componenti di sinistra è palese. Espresso, come altre volte, da Massimo D’Alema. Quanto agli altri soggetti politici in campo, il movimento cinque stelle è, per (auto)definizione, un non-partito. Forza Italia, idealtipo del partito personale, si è afflosciata, dopo il declino del suo capo. E la Lega si è, a sua volta, personalizzata e, con fatica, insegue la prospettiva di una Destra lepenista-nazionale”. Quello che appare certo è che per la prima volta dal ’94 in poi cade l’idea iper maggioritaria della democrazia legata al capo. Resta per il leader di partito la possibilità di varare le liste elettorali ma le preferenze fanno da freno a gruppi parlamentari formati solo dai fedelissimi. Non è un caso che a guidare il fronte del no alle elezioni subito è Forza Italia perchè Berlusconi è in attesa della sentenza della Corte europea sulla sua candidabilità che dovrebbe arrivare entro il 2017 ed inoltre l’ex Cavaliere preferirebbe un sistema senza preferenze. In questa giungla di posizioni non è casuale che a chiedere elezioni subito siano invece Lega e Cinque Stelle i due movimenti più interessati a sottolineare il fallimento dei partiti tradizionali e a delegittimare l’intero sistema parlamentare di cui pure fanno parte. I punti di contatto tra queste forze aumentano e il vero discrimine che oggi definisce gli schieramenti non solo della politica italiana è l’Europa e quello che rappresenta a partire dalla moneta unica. Sia Grillo che Salvini definiscono l’Unione un carrozzone inutile e guardano con entusiasmo a Trump e a Putin. E’ ovvio che nessuno dei due annuncerà un’alleanza prima delle elezioni. Anzi, a parole continueranno a combattersi visto che più o meno si contendono lo stesso elettorato ma la loro strisciante sintonia può emergere a urne chiuse. E del resto hanno in comune il modello Donald Trump che esercita su di loro un grande fascino. Puntano sugli stessi temi usati in campagna elettorale dal Presidente americano e sperano in un effetto calamita.
edito dal Quotidiano del Sud