L’intelligenza e il coraggio cacciati in esilio

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Di Franco Festa

C’è un grande bisogno di parole sobrie, di parole giuste. C’ è invece in città chi parla troppo, e spesso a vuoto. C’è chi parla su tutto, senza dire nulla. Un profluvio di esclamativi e di superlativi, un’alluvione di banalità spacciate per grandi verità. Dovunque cada una foglia, dovunque si incrocino due persone per caso, dovunque un cane abbia lasciato una deiezione, ecco pronto un torrente di parole gonfie di nulla per annunciare che tutto sta cambiando, che il mondo in cui viviamo è il migliore possibile, e che ancora meglio lo diventerà. Una mediocre rassegna, un’esposizione già apparsa in mille luoghi, un inizio di lavori programmati da altri, diventano nelle parole altisonanti di costoro eventi eccezionali, unici al mondo, indimenticabili. E non bastano le parole. Esse sono accompagnate da un’inondazione di foto luccicanti, con le facce sempre in primo piano, sempre sorridenti, qualche volta fintamente assorte a pensare inezie contrabbandate per pensieri profondi. Sotto ogni sequenza di parole fragorose, di foto di autocelebrazione, straripano i commenti acclamanti degli habitué di turno, che magnificano i nostri come santi scesi in terra, come nuovi salvatori, e i viva si sprecano, e le lacrime di gioia tracimano oltre i bordi. Questo è l’universo magnifico in cui viviamo, e manco lo sapevamo. Nessuna foto, nessuna parola invece su cosa si muove dietro, nell’ombra, sui padroni veri del palcoscenico, sullo spettacolo vero che si prepara per la città. Cosa e chi si oppone a questa falsa narrazione della realtà? Sembra che, da qualche parte, in qualche luogo che nessuno conosce, ci siano piccoli gruppi che si raccontano un diverso punto di vista, che si arrabbiano sul rumore delle parole e delle foto di chi domina, ma che non sanno andare oltre il sussulto irritato, oltre il vagito, e non sanno costruire un’altra descrizione possibile e veritiera. Sono schegge che non riescono a comporsi, gruppetti divisi su tutto che si guardano con diffidenza e si spiano con circospezione, generali senza esercito, eroi di cartone reduci da battaglie perdute che si accapigliano per il prossimo principe, mettendo a margine le questioni che premono alla città. Forse non hanno idee chiare, forse vengono dalla stessa scuola di chi li fa indignare, forse il loro orizzonte non è un’altra città, ma una semplice sostituzione di potere, forse hanno perso per strada la passione iniziale. Chi domina la scena sa tutto questo e si prepara a un’altra sceneggiata. Sa bene che con lui c’è solo una piccola minoranza della città, sa che la maggioranza tace e non partecipa, sdegnata e disillusa, ma questa scelta non lo indigna, anzi lo fa sentire tranquillo. E’ convinto che basteranno le solite truppe di comparse pronte all’applauso per farsi un altro giro di giostra. Perciò, nei suoi granai, accumula un carico ancora maggiore di parole qua qua qua, un’ infinità di eccezionali pose fotografiche, un rigurgito di balle spaziali, per sbalordire il cielo della città. Intanto le parole intelligenti e sagge hanno preso la via dell’esilio.

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