E’ il maestro Gennaro Vallifuoco a rendere omaggio a Roberto De Simone in occasione dei suoi 91 anni, Un omaggio affidato alla pubblicazione “della copertina del cofanetto del volume “La canzone napolitana”, edito da Einaudi nella collezione i Millenni con mie illustrazioni, l’ultima grande esperienza editoriale che ho vissuto a fianco di questo Gigante della Cultura, che ringrazierò per sempre per quello che ha dato e da ancora al mondo della Cultura e mi ha dato in circa 30 anni di collaborazione ” Una sinergia evidente nelle illustrazioni originali curate da Vallifuoco che accompagnano quasi tutte le opere di De Simone, “Fiabe Campane”, pubblicate da Einaudi nel 1994, “Il presepe popolare napoletano”, Einaudi, 1997, “Il Pentamerone, o Lo Cunto de li Cunti, di G. B. Basile nella riscrittura di Roberto De Simone”, Einaudi, 2002, “Son sei sorelle. Rituali e canti della tradizione campana”, Squilibri 2010. Fino alla scenografia per l’opera lirica “Il Re Bello” di Roberto De Simone, al teatro La Pergola di Firenze nel 2004
Forte anche il legame con Carlo Gesualdo. A Gesualdo De Simone ha dedicato un prezioso volume “Cinque voci per Gesualdo” presentato al Cimarosa per ribadire che «Carlo Gesualdo resta ancora oggi un mistero da svelare. Un artista tutto da scoprire, la cui genialità è stata offuscata da una sceneggiata di corna. Ancora oggi si commette l’errore di leggerlo nella maniera sbagliata, allontanandosi dal contesto in cui era inserita la sua musica». Nel parlare dell’illustra madrigalista De Simone sottolineava che «Qualsiasi indagine che riguardi Gesualdo – prosegue De Simone – deve collocarsi sul piano della vocalità, a partire dal rapporto tra oralità e scrittura. Ecco perché la sua musica ci parla ancora del tempo presente, ci mette in guardia dal considerare la scrittura l’unica fonte possibile. Sappiamo ancora troppo poco su di lui ma quel che è certo è che rimane uno dei musicisti più grandi della storia della musica. Il melodismo della sua musica sorprende per i sorprendenti salti da una vocalità all’altra». Di qui la scelta di puntare nella sua opera su provocazioni che tirano in ballo Jack lo Squartatore, Giordano Bruno, Pasolini e Lady Diana: «L’obiettivo è quello di sgombrare il campo da quelle che appaiono certezze ma sono solo approssimazioni, riscoprendo il valore della ricerca basata sul legame tra oralità e scrittura». Fino al mistero sull’omicidio della moglie Maria D’Avalos: «Tutto ciò che sappiamo – proseguiva – è legato alle carte del processo portato avanti in maniera precipitosa dal viceré, per chiudere una vicenda che era certamente delicata. Riguardava, infatti, i rapporti della Spagna con la Napoli nobiliare in un momento in cui c’era grande fermento per le elezioni del Papa e lo zio di Carlo era tra i papabili e alle relazioni dei Corona. Tanti gli elementi contraddittori, non possiamo essere sicuri neppure se Fabrizio avesse davvero una relazione con Maria o fosse solo un amante occasionale, se si sia trattato soltanto di una montatura con il corpo di Fabrizio trasportato nel letto di Maria, se sia stato un delitto d’onore o un omicidio premeditato se è vero che Gesualdo aveva finto una battuta di caccia per sorprendere gli amanti». Per concludere che alla fine «tutto questo ci interessa solo in parte, ciò che è determinante è studiare Carlo Gesualdo come musicista, a partire dalla sua capacità di scrivere partiture, valutando il peso delle singole voci, alla costante ricerca di strumenti nuovi. Se prescindiamo dalla vocalità del tempo, non potremo mai comprendere Gesualdo».
Un’attenzione, quella legata all’Irpinia, evidente già nel bellissimo volume “ Racconti e storie per i 12 giorni di Natale — Fiabe popolari della Campania” pubblicato nel 1987 come strenna, che “ fermava” nel tempo una serie di registrazioni effettuaro da studioso sul campo tra il 1967 e il 1986. Lo sguardo era rivolto a quel territorio dove esisteva « una cultura dell’immaginario collettivo non ancora totalmente disgregata».
Più volte spiegherà di essere stato conquistato dal Zeza di Bellizzi, dichiarata nel 1974 patrimonio storico-culturale della regione Campania, sottolineandone il valore nell’opera scritta insieme ad Annabella Rossi, Carnevale si chiamava Vincenzo, Roma 1977. “La Zeza – spiegava De Simone – è espressione dell’agire teatrale, che non è da intendersi come segno o cultura del divertimento ma come espressione di una collettività che rappresenta se stessa nello spazio e nel tempo”.
Un legame consolidato dall’amicizia con lo storico delle tradizioni popolari Aniello Russo. Più volte aveva voluto essere presente in Irpinia per presentare gli studi di Russo dedicati alla cultura popolare irpina