L’Italia oggi e 40 anni fa

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L’Italia di oggi in preda ad una forte crisi economica e sociale è per molti aspetti simile a quella di 40 anni fa. Oggi però la risposta della politica appare più debole e tra i partiti prevale la diffidenza reciproca. Vedremo se il governo Gentiloni riuscirà a smussare le tensioni tra le forze politiche e a farle riflettere sulla necessità di una convergenza sulla legge elettorale. Nel ’76 la risposta della politica fu quella di cercare una unità tra i partiti più grandi. Presero così forma i governi di solidarietà nazionale nati dall’intesa tra DC e PCI. Berlinguer era arrivato all’accordo partendo da quello che era accaduto in Cile tre anni prima. Il governo democraticamente eletto di Allende era stato rovesciato da un colpo di stato del generale Pinochet. In un saggio pubblicato da Rinascita il segretario del PCI partiva proprio da questa esperienza drammatica per sottolineare che se anche la sinistra unita avesse preso il 51 per cento alle elezioni rischiava però di non governare. Era necessario un riconoscimento reciproco tra forze politiche diverse a partire da quella cattolica perché solo in questo modo si poteva dare una risposta ai problemi complessi della società. Un ragionamento raccolto nella DC da Aldo Moro. E così nel ’76 democristiani e comunisti danno vita al governo guidato da Andreotti. E il Cile fu il protagonista anche di un episodio sportivo ma che ebbe un grande riflesso politico. A metà dicembre del 1976 l’Italia doveva disputare proprio a Santiago la finale di Coppa Davis di tennis. La politica e lo sport entrarono in conflitto. Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli dovevano recarsi oppure no a casa del dittatore Augusto Pinochet nel pieno del suo regime? In tanti spingevano per boicottare il viaggio. Quella partita di tennis si trasformò in un gioco più grande. Adriano Panatta, soprattutto, fu il campione preso di mira. Gli slogan che oggi ci appaiono lontanissimi erano quelli di “non si giocano volée con il boia Pinochet" oppure “Panatta milionario, Pinochet sanguinario". Adriano, campione bizzarro e dall’aria strafottente aveva un animo di sinistra per tradizione familiare e soffriva questa dura contestazione. Figlio del custode dei campi del circolo Parioli di Roma non voleva rinunciare a giocare la finale e cercava una strada per sbloccare quell’impasse. A distanza di anni Panatta la racconta così: "Era la base dell’estrema sinistra la più agitata. Ascoltavo quelle urla e ci rimanevo male; sono sempre stato di sinistra, influenzato anche da mio nonno Luigi, che fu amico di Nenni. Quei giovani che mi insultavano non conoscevano nulla di me e intanto non si sapeva ancora se avremmo disputato la finale. Fu Ignazio Pirastu, al tempo responsabile della Commissione Sport del Pci, a farci arrivare l’inattesa notizia: per Berlinguer dovevamo andare in Cile. E voleva lo sapessimo. Per il segretario del Pci non sarebbe stato giusto che la Coppa finisse nelle mani del Cile del regime di Pinochet piuttosto che nelle nostre. Da lì in poi la strada verso la partenza si fece in discesa. Fu come un libera tutti. Il governo Andreotti disse che lasciava libero il Coni di decidere, quest’ultimo lasciò libera la Federazione e di fatto ci ritrovammo a Santiago, liberi di vincere”. Superati dunque le resistenze il 17 dicembre del 1976 l’Italia sfida il Cile. Nella prima giornata Barazzutti batte Fillol e Panatta non ha problemi con Cornejo. C’è solo il doppio tra l’Italia e la conquista della Davis. Panatta e Bertolucci scelgono di giocare la partita decisiva indossando delle simboliche magliette rosse. Una provocazione che porta alla vittoria. Sport e politica uniti allora per battere un dittatore e vincere una Coppa.
edito dal Quotidiano del Sud