Lo strano linguaggio dei politici

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Il padre Dante, inventore del “Dolce Stil novo”, già otto secoli, fa teorizzava che la forma è la veste fedele del contenuto: “I’ mi son un che, quando/amor mi ispira noto e a quel modo/ ch’ei ditta dentro vo significando” (canto XXIV del Purgatorio). Spontaneità ed immediatezza di espressione, forma inscindibile dal pensiero. Purtroppo in molti politici non è così. Il linguaggio, che dovrebbe tendere a convincere razionalmente e a persuadere gli elettori per accrescere l’adesione alle tesi sostenute, spesso non è veritiero, è strumentale e solletica l’emotività più che la razionalità. Non è quasi mai il linguaggio della verità. Era più veritiero quando nei partiti c’erano le ideologie. Oggi con le ideologie, purtroppo, sono scomparse anche le idee e si è finito per far prevalere il populismo, gli stereotipi, le frasi fatte e ad effetto, specie da quando la televisione ha spettacolarizzato la politica. Il linguaggio dei politici ha avuto una sua evoluzione in questo ultimo secolo, quasi sempre in maniera peggiorativa. Nel ventennio fascista la retorica mussoliniana raggiunse il suo acme alimentata dalla propaganda futurista e dannunziana. Il linguaggio di Mussolini si sforzava di essere profondamente persuasivo e abbondava di slogan enfatici, di frasi ad effetto del tipo di: “credere, obbedire combattere, sui colli fatali di Roma”; era incisivo e polemico; usava metafore e si aiutava con una marcata mimica facciale. Il tutto per creare un rapporto fiduciario con i cittadini. Con la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica lo stile mutò profondamente. Il linguaggio dei due leader dei maggiori partiti, de Gasperi e Togliatti, fu caratterizzato da severità di esposizione e lucidità di analisi. Le tesi erano costruite ed esposte con ragionamenti ed analisi senza fronzoli, con argomenti che non tendevano a suscitare l’emotività degli ascoltatori ma li sforzavano a “ragionare” e a convincerli delle loro tesi. De Gasperi aveva uno stile più sobrio e misurato, tendente alla riconciliazione del Paese, pur nella polemica tra le due ideologie, quella cattolico- liberale e quella marxista. Togliatti aveva, invece, una polemica più sferzante e un impianto discorsivo ben organizzato e argomentato, ricco di citazioni classiche, filosofiche e letterarie. Anche Nenni era brillante nella sua esposizione che risentiva della sua esperienza giornalistica e usava espressioni ad effetto tipo “la stanza dei bottoni”. Poi, pian piano, con il consolidamento della democrazia e il monopolio della Democrazia cristiana, il linguaggio della politica perde costruzione logica, diviene più paludato e sempre più incomprensibile e ci si avviava verso il “politichese”. Esempio classico di politichese era il linguaggio di Aldo Moro ricco di sfumature, eufemismi tipo “le convergenze parallele, l’istituto della non sfiducia”. Il linguaggio di Berlinguer era, invece, ordinato, semplice, disadorno, non cedeva nulla alla propaganda, all’esagerazione, all’emozione facile, all’improvvisazione o alla superficialità delle analisi. Conservava sempre il senso dello Stato e una forte moralità. Craxi fu il primo a sfruttare le risorse della televisione cui adeguò il proprio linguaggio con uno stile oratorio retorico, rivolgendosi direttamente ai cittadini elettori con un rapporto colloquiale amichevole, inaugurando, così, la politica spettacolo della quale fu grande maestro e innovatore Berlusconi che caratterizzò l seconda repubblica mutuandone le regole dal marketing della pubblicità commerciale. Ci furono, poi, i Pannella, che utilizzò addirittura il suo corpo e toni profetici, apocalittici e drammatici (truffa, scippo, ammucchiata ecc.). Poi, con mani pulite scomparve il vecchio sistema ed il linguaggio si affinò ancora di più in stile propagandistico e pubblicitario. Esemplari i Bossi e Berlusconi con i loro stili comunicativi e pieni di slogan (la Padania libera, il celodurismo, la discesa in campo, l’Italia il paese che amo e via dicendo) e l’uso autocelebrativo dell’unto del Signore. Renzi segue il filone, utilizzando felicemente il termine rottamazione per indicare un forte cambiamento rispetto ai protagonisti del passato e ad un muovo modo di fare politica, giovane e sprezzante verso i professoroni e i gufi, annunciando riforme per l’ammodernamento delle Istituzioni. Il suo stile comunicativo è basato sull’informalità programmatica, sia in ambito polemico e propagandistico che istituzionale; adotta un linguaggio fresco e nuovo, scorrevole come tra persone normali, sforzandosi di stabilire un rapporto diretto con l’elettore superando la logica del partito e dei partiti e presentando le sue riforme, che gli altri non sono stati capaci di fare, come rivoluzionarie, sulle quali chiede la fiducia direttamente al popolo, giurando che andrà avanti “costi quel che costi”. Il Si al referendum sulla riforma costituzionale è un giudizio sulla sua persona e sul suo operato. Prosegue, così, alla grande quella “democrazia del leader” della quale ha parlato Mauro Calise in un suo recente saggio. Morto il partito torna il sovrano e Renzi è un leader che conosce la retorica del populismo. L’Italia dovrà diventare renzissima come fascistissima era stata quella di Mussolini. Interpreta l’uomo solo al comando, senza le pastoie dei partiti, dei sindacati, della mediazione continua, della magistratura. Il suo programma è decisionismo e azione: i risultati verranno, basta dargli ed avere fiducia. Il tutto in un contesto di disaffezione per i partiti e la politica e di grande semplificazione, che finisce per fidarsi degli uomini soli al comando più che agli istituti di democrazia diretta. Il guaio è che da questi Uomini ci si aspetta anche quello che, spesso, non possono dare o non sono in grado di dare. E allora il mito finisce e dalle stelle si finisce alle stalle e su un altro! Sarà questo il futuro delle democrazie moderne e ancora deboli come la nostra se i partiti o i movimenti di opinione non troveranno nuovi obbiettivi e traguardi e alimenteranno nuovi stimoli! Il futuro di Renzi (stante la scarsità dei risultati prodotti: lo zero virgola) è legata ad un filo: le amministrative di oggi e il risultato del referendum di ottobre.
edito dal Quotidiano del Sud