L’omaggio di Capossela al pubblico irpino: Grazia a tutti, è stata una serata gigante

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E’ una festa in cui le tradizioni d’Irpinia incontrano i ritmi del mondo il concertone di Vinicio Capossela, salutato da un bagno di folla lungo Corso Vittorio Emanuele. Il suo Rolling Sponz Review, che vede con lui sul palco, in stile mariachi, Peppe Leone, Giovannangelo De Gennaro, Victor Herrero, Vincenzo Vasi, Andrea Lamacchia, Mikey Kenney, prodi scudieri, vera anteprima dello Sponz, è una festa in cui l’artista racconta il suo universo fatto di tradizioni e contaminazioni, in cui entrano con forza miti e personaggi della cultura popolare irpina. Sarà lo stesso artista a ringraziare il pubblico il giorno dopo “Che bella serata che è stata, che bella serata passata….Grazia a tutti per la serata gigante di ieri”, ringrazia”. Ed è un esordio scoppiettante quello che vede Vinicio salire sul palco con la maglia biancoverde, e una maschera da lupo, quasi a voler mettere a tacere le polemiche per un suo post, in cui ricordava un concerto del 1999 davanti a un pubblico “un tantino freddo”. Ma non risparmia la sua stoccata divertita contro “l’Irpinia paranoica”, giocando con i luoghi comuni legati alla narrazione del territorio, dall’elogio dei borghi all’attesa di qualcosa che non arriva (Irpinia di notti dissolversi stupide nei paesi presepio/E nemmeno più un circolo Arci/Irpinia di notti agitate tra i paesi vuoti e le crape/Irpinia di notti tranquille in cui seduzione è rassegnazione/Irpinia di notti nere senza che arrivi la felicità) e rende omaggio ad Aniello Russo, il cantore delle tradizioni irpine, a partire dalle pagine dedicate alle janare. Dalle janare al sacrificio delle donne che ritornano in “Femmine”, dedicata alle contadine che raccoglievano il tabacco in Irpinia, troppo spesso malpagate. I brani che prendono vita sul palco sono mazurche e tarantelle, musiche da sposalizi come nell’omaggio al Carnevale di Montemarano o in canzoni come “Nachecici” che si caricano di una valenza liberatoria, quando Vinicio canta “Chi more, more chi campa campa”. Quella stessa carica di ritualità catartica che accompagna tutto il concerto. Bellissimo anche l’omaggio al poeta Matteo Salvatore o l’esplosione di gioia con i ritmi da banda del paese de “L’uomo vivo” che infiamma la folla. E’ un concerto da ballare, più che da cantare, in cui Vinicio non rinuncia ai suoi travestimenti, come quando canta con una piuma sulla sua testa o con un colbacco in “Marajà”. Fino all’esplosione finale di “Che cos’è l’amor” e “Il ballo di San Vito” , espressione della doppia anima di Vinicio, festa nella festa. (f.g)