“Siamo una generazione in ritardo su tutto, abbiamo i figli ancora piccoli, facciamo fatica ad usare le nuove tecnologie, siamo lenti e ormai invisibili, poichè a cavallo tra i boomer e i millennials”. Spiega così la generazione X Lorenzo Marone nel suo spettacolo che ha fatto tappa ieri nello spazio antistante la libreria Mondadori in una piazza gremita. “In questo andare in giro nelle piazze – spiega Marone – mi accorgo che la distanza tra boomer, generazione X e millennials non è tanto forte, sono generazioni incastrate tra loro, molti millennials mi dicono di riconoscersi di più nella mia generazione, io stesso riesco a volte a dialogare meglio con un settantenne. Il vero solco è con la generazione Z, che appare oggi incomprensibile, cresciuta negli anni dell’esplosione delle nuove tecnologie che, da tanti punti di vista, ci hanno massacrato. L’impressione è che, di fronte a questo solco, in tanti abbiano abdicato all’educazione con i ragazzi lasciati tutto il giorno davanti al computer. E’ una generazione che non ha ponti col passato. Di padre in figlio ci si tramanda sempre un patrimonio di conoscenze ma è come se questo sapere si fosse spezzato, non riusciamo a trasmettere nulla alle nuove generazioni”.
Non ha soluzioni in tasca Marone ma spiega “E’ chiaro che l’unica strada è quella di tornare a parlare, tornare a dedicare tempo ai nostri figli, accogliere la sfida di educare e di non starcene a scrollare tutto il tempo sugli smartphone. E’ dunque necessario uno sforzo da parte della nostra generazione. Penso anche al ruolo decisivo dei docenti, che potrebbero cambiare la vita delle nove generazioni ma anche nella scuola, c’è chi non è consapevole dell’importanza della propria funzione”.
Snocciola simboli, canzoni e film che hanno segnato la nostra generazione, da trasmissioni come Drive in ai paninari “erano anni in cui le firme che si indossavano definivano l’appartenenza sociale e c’era differenza tra chi indossava le Timberland e chi portava le Lumberjack fino ad arrivare ai pezzotti. Mettevamo in croce i nostri genitori per avere scarpe firmate”, dagli scherzi telefonici grazie a quello “strumento magico che era l’elenco del telefono. Basta aprirlo per viaggiare nella memoria”, gioca con i neologismi entrati nel vocabolario, improvvisando una gara tra generazioni, per scoprire che “boppone” è la canzone che entusiasma al primo ascolta. Si sofferma sul misterioso alieno del film “Et”. E’ Marone a confessare come “l’ho sempre amato, perchè per la prima volta un alieno, uno straniero veniva presentato come un personaggio buono. E poi riusciva a scorgere il dolore altrui, a guarire le ferite degli uomini appoggiando il suo dito, mentre noi non riusciamo a comprendere il dolore degli altri, non capiamo la sofferenza dei nostri figli. Non possiamo stupirci se poi avvengono tragedie come quelle di Paderno in cui un 17enne ha sparato ai genitori, possibile che nessuno avesse notato in questo ragazzo segni di inquietudine e sofferenza? E come potremmo accorgerci del dolore dei nostri figli se siamo sempre col capo sul cellulare?”