Lotta ai tumori: oncologia di precisione e immunoterapia

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Di Luca Covotta

L’ oncologia sta attraversando un periodo di profondo cambiamento. Per lungo tempo la lotta ai tumori veniva impostata con terapie uguali basate soprattutto sul sito anatomico della neoplasia, con un grande limite terapeutico legato alla incapacità di selezionare un bersaglio ma di colpire indiscriminatamente tutte le cellule che si riproducono velocemente, sia neoplastiche (effetto desiderato) sia normali (effetto indesiderato), con conseguenti gravi effetti collaterali. Grazie ai progressi della ricerca in ambito molecolare abbiamo chiarito numerosi aspetti della cellula tumorale tale da cambiare radicalmente la possibilità di contrastare la malattia. Progressivamente si è messo in evidenza come l’architettura molecolare cambi da tumore a tumore e in base a questo si è cominciato a sviluppare terapie differenziate. Nasce così l’oncologia di precisione ovvero una modalità terapeutica basata sull’impiego di farmaci in grado di agire in maniera selettiva (target therapy). Queste generazione di farmaci vengono denominati anticorpi monoclonali che, ispirandosi agli anticorpi che il nostro corpo è in grado di generare quando deve combattere un microorganismo estraneo, riconoscono con precisione il bersaglio (target). Presupposto a questo schema di trattamento è identificare specifiche alterazioni molecolari delle cellule tumorali che permettono al tumore di crescere e magari di diffondersi in organi lontani, quindi colpire questi bersagli molecolari con farmaci ad hoc definiti appunto “intelligenti” significa contrastare la crescita tumorale senza danneggiare le altre cellule che non esprimono questi bersagli specifici, ovvero massimizzare l’efficacia terapeutica e ridurre gli effetti collaterali. Pioniere della terapia bersaglio fu lo sviluppo, agli inizi degli anni ’90, del primo inibitore (imatinib) in grado di colpire selettivamente una proteina che si forma esclusivamente dalla traslocazione cromosomica che causa la leucemia mieloide cronica. Venne definito inizialmente il magic bullet, cioè il “proiettile magico” inteso come il farmaco perfetto. Questo farmaco induceva la remissione nell’80% dei pazienti. Il successo fu tale che altri farmaci vennero generati in grado di colpire selettivamente bersagli iperespressi dal tumore ma non dalle cellule sane. Questo iniziale entusiasmo è stato poi in qualche modo ridotto dalla scoperta del tallone d’Achille delle terapie a bersaglio che in pratica si lega alla stessa teoria evoluzionistica di Darwin ovvero alla capacità delle cellule che, se vedono bloccata una via di crescita, possono trovare una via secondaria attivando altri geni e quindi trovare vie alternative per portare avanti il proprio disegno. A questo punto la scelta terapeutica sarebbe quella di utilizzare una combinazione di farmaci a bersaglio ma che, inevitabilmente, porta ad un aumento della tossicità, tale da risultare poco tollerabili per l’organismo soprattutto in determinate combinazioni. Ulteriore considerazione da fare è che il tumore è una malattia molto complessa. Le cellule tumorali presentano una grande eterogeneità, tanto che i frammenti di tessuto dal tumore primario e dalle sue metastasi, possono mostrare caratteristiche molecolari differenti. Questo fa sì che un farmaco a bersaglio possa risultare efficace per distruggere una parte della malattia, lasciandone intatta o quasi un’altra, oppure che un farmaco utilizzato per curare il tumore primario non sia efficace per eliminare le sue metastasi. Ulteriore evoluzione nell’approccio oncologico è legato all’evidenza che le cellule tumorali si sviluppano e progrediscono diversamente in ogni individuo, che il patrimonio genetico (unico per ogni individuo) interagisce con l’ambiente in maniera altrettanto unica. Ed è ciò che accade oggi nella ricerca oncologica, lo sguardo è andato ancora più a fondo. Grazie a queste scoperte è nata l’idea della oncologia personalizzata, costruita su misura per ciascun paziente e che rappresenta un obiettivo per tanti ricercatori e una speranza per molti malati.

Si parla di discipline “omiche” – genomica, proteomica, metabolomica, eccetera – che analizzano contemporaneamente l’espressione di molti geni, proteine o metaboliti. Si ottiene così una sorta di “firma” molecolare del tumore e del malato . Quindi i due termini “personalizzata” e “di precisione” vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile, ma non hanno esattamente lo stesso significato: “Parlare di medicina personalizzata implica l’idea che il trattamento venga disegnato su un singolo paziente, sulla base di fattori genetici, ambientali e di stile di vita”. Oltre a contrastare la struttura molecolare della cellula tumorale esiste un altro modo per combattere la sua diffusione, ovvero stimolare il sistema immunitario per modificare l’ambiente dove cresce. Questa strategia si definisce immunoterapia. Il sistema immunitario è il nostro esercito di difesa in grado di attivarsi contro ciò che riconosce come estraneo, ad esempio batteri o virus ma anche cellule “impazzite” che hanno mutato il loro ciclo duplicativo. Una volta scoperti questi invasori vengono eliminati. Tuttavia, nel caso dei tumori, le cellule mutate adottano stratagemmi per ingannare questo sistema di controllo. Le cellule neoplastiche infatti eludono i meccanismi di riconoscimento da parte del sistema immunitario, aumentano di numero, modificano le loro caratteristiche e acquisiscono la capacità di invadere siti del nostro organismo a distanza rispetto all’organo di origine del tumore primitivo. Sempre con l’utilizzo di anticorpi monoclonali, quindi con il concetto della target therapy, si riesce a riattivare il sistema immunitario a combattere di nuovo il tumore. Elemento fondamentale nello sviluppo della immunoterapia è stata la scoperta dei cosiddetti checkpoint, le molecole coinvolte nel meccanismo di elusione da parte del tumore nei confronti del controllo immunitario. I farmaci immunoterapici attualmente impiegati nella pratica clinica sono anticorpi monoclonali inibitori di questi checkpoint immunologici. Questi farmaci, togliendo il freno all’attivazione dei linfociti T, sono in grado potenzialmente di riattivare la risposta immunitaria antitumorale. Dato che i farmaci immunoterapici non agiscono direttamente sulle cellule tumorali, ma vanno ad attivare le dinamiche difensive del sistema immunitario, i tempi per osservare un effettivo beneficio possono essere più lunghi rispetto a quelli delle altre terapie: in alcuni casi, possono infatti trascorrere anche 16-20 settimane prima che si evidenzi una risposta Altra caratteristica peculiare di questi trattamenti è la cosiddetta memoria immunologica, per cui molte risposte e alcune stabilità di malattia possono durare nel tempo, anche dopo la sospensione del trattamento immunoterapico, con un impatto positivo sulla sopravvivenza dei pazienti. Le terapie oncologiche classiche provocano mediamente risposte meno durature, in quanto possono rapidamente selezionare cellule tumorali maggiormente resistenti ai farmaci. Gli effetti collaterali dei trattamenti immunooncologici, in virtù del differente meccanismo d’azione, sono correlati a reazioni infiammatorie generate da questi farmaci che si rivolgono contro i tessuti sani dell’organismo, causando ad esempio infiammazioni temporanee a livello gastrointestinale e cutaneo. Potenzialmente tutti gli organi e i tessuti del nostro organismo possono essere interessati dagli effetti collaterali dei farmaci immunoterapici, ed è pertanto fondamentale una gestione accurata e adeguata del paziente che si sottopone a questi trattamenti.