L’ultima luna di Emanuela Sica, l’uomo e la sua coscienza

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Solo una persona dotata di un forte senso critico, civico, di una profonda sensibilità umana e intellettuale, come Emanuela Sica, poteva affrontare il ricorrente tema delle coscienze, con tutte le sue devianze e le sue dialettiche. “L’ultima luna”, infatti, scrive Luigi Anzalone , nella prefazione, non è solo un libro di racconti, Emanuela Sica nel compiere questo tipo di percorso, ci dice in sostanza che il tema delle coscienze, da lei affrontato, riguarda tutti noi, nessuno escluso. Del resto, questo benessere-malessere quotidiano, che traspare in ogni suo racconto, n tutto una settantina, che pone noi in ogni angolo di strada, dimostra quanto sia difficile ammettere di farne parte.

Emanuela, su questi temi, non solo si sofferma, osserva, analizza ogni minimo dettato, quanto suggerisce pure di tenere gli occhi bene aperti, visto che il solo superare i muri che ci circondano significa andare oltre senza correre il rischio di andare a sbattere, sostanzialmente ci dice che dopo aver imparato a gestire gli anni dell’infanzia e poi quelli adolescenziali tutti quanti oggi dobbiamo fare i conti con questo malessere quotidiano che ci portiamo dietro e che ci rode l’anima, e la cosa buffa è che ce ne accorgiamo soltanto se veniamo mortificati da qualcuno, da qualche immagine dura, sempre perché non siamo stati in grado d’impedire tragedie infinite, come questa appena consumatasi sulle coste della Calabria, o come il terremoto dei giorni scorsi ai confini tra la Turchia e la Siria con le sue migliaia e migliaia di morti e distruzioni; lo stesso vale per la guerra in corso in Ucraina dove, sotto gli occhi del mondo libero, si sta consumando un’altra peggiore tragedia della storia.

E’ notte e ho appena finito di leggere “L’ultima luna”: immaginavo di dovermi fermare qui e cercare di dormire un po’ e allora sarebbe stato già un grande risultato, ciò nonostante la mia mente vuole che rimanga sveglio per meglio scrutare nella notte  i mali oscuri di questa società, di noi, apparentemente tutta gente perbene e ossequiosa però fino a un certo punto. Insomma, sull’onda di questa ultima salvifica emozione, Emanuela Sica suggerisce con questa serie di racconti di guardare oltre, unico modo capace di abbattere steccati imposti da una classe dominante mai così incapace e inadeguata nell’affrontare problemi ormai di portata planetaria. Insomma, noi carcerati di noi stessi e non viceversa. La nostra terra, luogo ideale, l’anima di tutte le anime di questo mondo.

Il dramma vero, ci dice in sostanza la Sica, è l’uomo, sono le sue paure, le sue angosce, i suoi drammi. Insomma. Tutti uno sull’altro, tutti in fila sull’autostrada, o in una metropolitana, allo stadio, al bar, tutti a rincorrere i propri bisogni proprio ora che tutti quanti  hanno smesso di sognare, come le storie di ogni singolo ragazzo che pur di salvare il salvabile continua a dare calci a un pallore o come quella bambina che non si addormenta senza la sua bambola o prima di cadere vittima lei stessa dallo scoppio di una bomba.

E poi ci sono gli adulti; ci sono quelli, come Impastato, che pur di rincorrere i loro sogni di adulti mettono a repentaglio la loro stessa vita; e non ci dimentichiamo dei nostri emigranti di Marcinelle che hanno dato la vita per un bene altrettanto grande, quello che un per un pezzo di pane hanno cercato di dare ai loro stessi figli una speranza, sia pur fuori dall’Italia. La stessa morte di Falcone e Borsellino ci dice quanto sia vasto questo bisogno di libertà e di democrazia: un dolore che non potrà mai essere spento con una bomba, che mai  nessuno riuscirà a spegnere, neppure la mafia.

Sì, Emanuela Sica, con questo libro di racconti  ci sta dicendo anche dell’altro; alla fine anche lei infatti si rimette alla volontà di Dio, in cui crede fermamente, che poi sarebbe lo stesso Dio che non sa dire chi tu sia le volte che sarai tu a cercarlo, che le cose che abbiamo e che amiamo di più nella vita sono case senza pareti; le sue stanze siamo noi.

E allora il nostro pensiero va di nuovo ai giovani, a questa risorsa umana che merita  maggiore rispetto e adeguate protezioni non per noi, ma per quel sogno che ognuno di noi non è mai riuscito a realizzare fino in fondo, per i nostri stessi figli, per quelli che verranno. Allora ecco che trovarsi di fronte a questa immane tragedia dei Popoli si finisce sempre per rimanere in silenzio; prigionieri di un silenzio che già di per sé rappresenta una sconfitta; ad ognuno quindi la sua croce perché è soltanto ai piedi di essa che ci si rende conto di aver raschiato il fondo della bottiglia e che in avanti non ce ne sarà più per nessuno.

Allora smettiamola di provare vergogna di noi stessi, qui ci sono altre vite che vanno salvate. E allora basta dire che siamo tutti colpevoli, di non essere stati in grado di difendere il proprio bene e né quello altrui, che non siamo più in grado di dare risposte concrete e durature. Emanuela essendo avvocato di Cassazione, queste cose le sa bene; sa bene, per esempio, che esiste una giustizia umana e una divina, che il tribunale è il luogo dove si emettono sentenze e assoluzioni; tutto un mondo che si muove con la ragione e con i sentimenti con l’amore e con il lavoro di tutti i giorni sia quando esso ti gratifica o che ci umilia.

Perdere un figlio, e poi sentire di essere più niente. Vegliarne il corpo, con ancora in mano la sua bambola, e altri lasciati lì per terra senza alcuna ragione. Dio, perché? Perché, si domanda l’autrice, quanto sappiamo basterebbe un sorriso in più o una carezza in più per cambiare il mondo? Su questo Emanuela va ancora oltre; dice in sostanza che la nostra mente è in continua espansione e che in quanto tale percorre lo spazio temporale alla stessa maniera in cui viaggiano le stelle e le galassie, solo che, per carenze nostre, queste cose non siamo in grado di comprenderle.

Leggi universali, si dice, anche quando, gira e rigira, nel nostro quotidiano ci si ritrova tutti nella stessa piazza, a condividere lo stesso spazio di libertà, gli stessi amori, le stesse passioni. Poi ti capita di udire, cosa che succede, per fortuna, di tano in tanto, la voce di Impastato che si fa nostra, che in solitudine manifesta tutta la sua rabbia, che urla ai quattro venti questa mancanza di libertà e di giustizia. La libertà, il bene più alto da difendere oltre la vita. Oltre noi stessi, purché, conclude Emanuela Sica non si ricada nella serie ripetuta di ogni singolo inutile gesto. Altrimenti, aggiungiamo noi, altrimenti la vita degli uomini rischia veramente di scomparire; tra te e il tuo io. Dopo giorni e giorni di delirio. Solo la morte.

E allora poco importa se poi alla fine ci portiamo dentro le nostre illusioni, le nostre colpe, il ricordo di tutte queste immani tragedie, i nostri soliti dolori fisici, quelli tracciati dalla nostra stessa anima? L’amore, ci dice in sostanza Emanuela, è una caldera che quando la si accende, e non siamo noi a farlo, ci tiene in vita tutta una vita. Altrettanto la speranza che per Emanuela rimane sostanzialmente la trasformazione, l’albero, quello della vita, la metafora per eccellenza, fino a scoprirsi tutti campo aperto di grano. Tutto in una notte. Tutti a guardare le stelle. Tutti sotto lo sguardo assente della luna, pur di vivere ognuno la propria storia, fino in fondo.
Ottaviano De Biase