L’utopia del bene comune 

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Cattolicesimo politico e sfide del terzo millennio” è stato il tema dell’incontro della scorsa settimana, presso l’ex Domus Mariae, luogo che evoca, anche per chi scrive, momenti di esaltanti e significative iniziative culturali e politiche sullo storico filone del cattolicesimo democratico. L’attuale sindaco di Nusco, Ciriaco De Mita, è stato la figura politica centrale che ha catalizzato l’attenzione di personaggi di grande rilievo sullo scenario culturale e politico italiano: da Giuseppe Gargani a Cirino Pomicino, da Calogero Mannino a Marco Follini, oltre a Giuseppe De Mita e tanti altri. ”

“Organizziamoci, continuamo, senza la presunzione di aver capito tutto, perché nei processi si pensa e si capisce, si pensa e si sbaglia” è stato il monito di De Mita.
Vorrei sommessamente partire proprio dai tre verbi – pensare, capire, sbagliare – nel nucleo tematico del pensiero demitiano per delineare qualche riflessione che parte dalla concretezza del presente, dalla frammentazione antropologica, culturale e politica attuale, per pensare correttamente e ridurre al minimo il rischio di un pensiero politico non innovativo, comunque poco credibile.

Credo che la via migliore da percorrere sia la serena capacità di lettura di una comunità nazionale in “letargo esistenziale collettivo, dove emergono capacità inventive ma solo individuali e spontanee” come fotografa il 49esimo rapporto del Censis. Se l’invito demitiano riesce a rivelarsi una risposta al bisogno emergente “del primato della politica”, allora appare percorribile la via della maturazione di valori collettivi e la restituzione alla politica della sua primaria funzione di tutelare interessi e bisogni comuni. In sintesi se l’utopia del bene comune diventa l’obiettivo di una nuova, buona e appagante politica, il cattolicesimo politico, al di là delle tante e interessanti letture che se ne fanno, costituisce il percorso culturale e politico ancora valido per superare il populismo attuale e una situazione sociale italiana che presenta una “pericolosa povertà di progettazione per il futuro, di disegni programmatici di medio periodo”.

Almeno due, a mio modestissimo parere, sono le condizioni per trasformare il percorso delineato in progetto politico: un nuovo, responsabile, capace protagonismo politico dei cattolici ed una lettura non frammentaria dei cambiamenti sociali e politici del tessuto comunitario italiano, con uno sguardo alla dimensione europea dell’agire politico quotidiano. La fonte sorgiva di questo percorso non può essere solo una compagine partitica, ma – sempre nel quadro dell’autonomia della politica – non si può più e ulteriormente ignorare il nuovo umanesimo sociale e politico di Papa Francesco.

Per troppo tempo la malintesa autonomia della politica dalla sfera religiosa della persona si è trasformata in una autarchia impermeabile alle sollecitazioni della dottrina sociale della Chiesa, rivelandosi progressivamente solo strenua difesa del potere della classe politica dirigente e nella costante, affannosa e indiscriminante ricerca del consenso. Quando parlo di una nuova capacità di lettura della frammentazione antropologica, cultura e politica italiana, vorrei riferirmi, in positivo, alla corposa presenza del volontariato diffuso e capace che non solo intercetta i non pochi bisogni degli ultimi – quello dello scarto di Papa Francesco – ma dà risposte quotidiane, spesso silenziose e non censite ai bisogni materiali e immateriali non soddisfatti dall’attuale welfare. L’auspicata buona politica non può considerare il Terzo Settore come una supplenza permanente nello svolgimento dei compiti costituzionali dello Stato moderno. Non ignoro, frattanto, che altri sforzi di buona connotazione politica vanno considerati, ma necessariamente va fatta una immedita declaratoria delle priorità esistenti per superare le «mediocrità diffuse» che hanno svilito la politca, demotivato tanti cittadini capaci e responsabili e, progressivamente, generato l’attuale e deleterio populismo senza futuro.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud