Ma viene un tempo ed è questo 

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2004

Quando l’anno sta per finire, fioriscono rievocazioni e commenti sugli avvenimenti trascorsi e si mettono in campo previsioni ed aspettative per l’anno che verrà. Tuttavia questa riflessione rimane prigioniera di un orizzonte limitato che sostanzialmente ci impedisce di comprendere il tempo in cui viviamo. I limiti derivano dal rapporto con lo spazio e con il tempo. Il primo consiste nello spazio ristretto del territorio nazionale, al quale è ancorato l’orizzonte della politica in Italia. e perciò nella rimozione dei grandi problemi della fame e della miseria nel mondo, nella sottovalutazione dei pericoli che possono provenirne alla pace e alla sicurezza e nell’illusione che l’economia globale possa autoregolarsi e fare a meno di una sfera pubblica internazionale.

Il secondo consiste nella perdita da parte della politica, vincolata ai sondaggi in vista soltanto delle scadenze elettorali, anche delle dimensioni del tempo: sia della memoria del passato che della prospettiva del futuro. Ebbene l’ignoranza dei problemi globali e la perdita della memoria ci rendono incapaci di reagire alle sfide del nostro tempo e di progettare il futuro. Il primo problema globale è la crescita esponenziale della disuguaglianza, frutto di un’economia e di una politica guidata dai poteri selvaggi del mercato. Secondo il rapporto Oxfam del gennaio 2017, l’1% della popolazione mondiale possiede la metà dell’intera ricchezza globale e le otto persone più ricche del mondo hanno la stessa ricchezza della metà più povera dell’intera popolazione mondiale, cioè di circa 3 miliardi e 600 milioni di persone. Non solo: grazie alla crisi economica della quale hanno ampiamente beneficiato, la ricchezza di questi super- ricchi è aumentata negli ultimi sette anni del 44%, mentre quella della metà più povera del mondo è diminuita del 41%. I ricchi, in breve, diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Siamo di fronte a una disuguaglianza che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Per effetto della crescita della disuguaglianza e della povertà, e per altro verso delle guerre e delle persecuzioni politiche o religiose, masse crescenti di persone sono costrette a fuggire dai loro Paesi. Ma il dato più drammatico è il silenzioso massacro prodotto dalla negazione del diritto di emigrare. Solo nel 2016 il numero dei morti in mare nel tentativo di approdare in Italia è stato di 4.733, mai così alto da quando l’UNHCR, nel 2008, ha iniziato a contarli. Negli ultimi 15 anni sono morte, nel tentativo di penetrare nella fortezza Europa, più di 30.000 persone, di cui 4.273 nel 2015 e 3.507 nel 2014: affogate nel Canale di Sicilia, o nel mar Egeo, o nell’Adriatico, o lungo le rotte che dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal vanno verso le isole Canarie e la Spagna. Quella che è più avvertita (dall’opinione pubblica ma non dalla politica) è l’emergenza ambientale. Non si tratta soltanto di una minaccia per il futuro dell’umanità. I cambiamenti climatici hanno già prodotto devastazioni e catastrofi che, in parte, stiamo sperimentando anche noi. E’ ritornata di attualità la minaccia di un olocausto nucleare. Dobbiamo peraltro riconoscere che solo per un miracolo, in un mondo popolato da più di 10.000 testate nucleari, non è ancora accaduto che un pazzo al potere ne abbia fatto uso. In questo contesto si è verificato un capovolgimento dei rapporti tra società e rappresentanza politica, tra Parlamenti e governi e tra politica ed economia. Come osserva Luigi Ferrajoli: “non sono più le forze sociali organizzate nei partiti che indirizzano dal basso la politica delle istituzioni rappresentative, ma è il ceto politico che gestisce i partiti, politicamente neutralizzati dal loro sradicamento sociale. Non sono più i Parlamenti rappresentativi che controllano i governi ancorandoli alla loro fiducia, ma sono i governi che controllano i Parlamenti attraverso le loro maggioranze parlamentari rigidamente subordinate alla volontà dei capi. Non è più la politica, con le sue istituzioni di governo politicamente rappresentative, che disciplina l’economia e la finanza, ma sono sempre più i poteri economici e finanziari globali che impongono ai governi, in difesa dei loro interessi e grazie all’assenza di una sfera pubblica alla loro altezza, regole e politiche antisociali legittimate dalle leggi del mercato pur se incompatibili con i limiti e i vincoli costituzionali.” Se noi guardiamo al futuro con la coscienza dei problemi globali, non possiamo non convenire che è questo, e non altro, il tempo della svolta, proprio a causa dell’urgenza imposta dalle minacce catastrofiche che incombono sul nostro futuro. La percezione dei pericoli è sempre stata nella storia un potente fattore di cambiamento. Ma viene un tempo ed è questo.

di Domenico Gallo edito dal Quotidiano del Sud