Made in Italy

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Di Guido Bossa

Pochi giorni dopo aver ascoltato dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli una strenua difesa del vocabolario italiano condensata in una proposta di legge che commina pesanti multe a chi, specie se amministratore pubblico, utilizza parole straniere in atti ufficiali, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che è capo del partito di cui Rampelli è cofondatore, è andata a Verona per partecipare ad una manifestazione intitolata “Vinitaly” (e non, per dire, “Salone del vino” o “Mostra dei vini italiani”), ed ha annunciato l’intenzione del governo di varare un “liceo del made in Italy” per “valorizzare percorsi che spieghino il legame che esiste tra la nostra cultura, i territori e la nostra identità”. Da ciò che si è capito a Verona, il progetto consisterebbe in un “restyling” (altro vocabolo da abolire secondo Rampelli) dei tradizionali Istituti tecnici agrari che, appunto, hanno l’obiettivo di formare personale addetto alla promozione e allo sviluppo del settore agroalimentare, che è senza dubbio un’eccellenza italiana e pertanto merita ogni attenzione. Ora, si potrà ironizzare sulla palese confusione che regna negli italianissimi palazzi del potere fra esponenti della stessa maggioranza su materie peraltro di poco conto, ma il fatto è che sulla proposta di Rampelli si è aperto nei giorni scorsi un vivace dibattito politico-culturale che ha distratto l’attenzione da problemi ben più importanti che dovrebbero preoccupare governo e parlamento. Primo fra tutti l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposto per gestire al meglio i circa 200 miliardi che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia per rilanciare l’economia dopo la crisi provocata dal Covid-19. Pare che il governo e le amministrazioni interessate non riusciranno a realizzare i progetti per i quali sono già arrivati i primi finanziamenti, e ciò potrebbe interrompere il flusso di denari già stanziati da Bruxelles, con evidente danno per il prestigio nazionale italiano; ma di questo Giorgia Meloni non sembra preoccupata più di tanto. A Verona se l’è cavata con una battuta: “Non sono preoccupata dai ritardi sul Pnrr, stiamo lavorando molto, non mi convince molto la ricostruzione allarmista”.

La Commissione europea ha dato al governo un mese di tempo per svelare i suoi piani; poi si vedrà. Ma intanto si può annotare che il dibattito pubblico di questi giorni, alimentato
naturalmente da ministri ed esponenti politici della maggioranza, verte soprattutto sulle farine di grilli, larve e locuste, sulla produzione di carne dalla coltivazione di cellule staminali, sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale, sulle nostra.