Medio Oriente: la partita tra Stati Uniti e Russia

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La strategia del disimpegno, portata avanti dall’amministrazione Obama in Medio Oriente, sembra volgere al termine per lasciare spazio a una nuova fase di interventismo militare. I segnali arrivati nell’ultimo periodo lasciano presagire che le future vicende siriane rientreranno in questa impostazione generale. Difficili da prevedere sono i tempi e i modi con cui potrà realizzarsi l’azione degli Stati Uniti, considerato che l’attuale inquilino della Casa Bianca non è nuovo a uscite fuori dalle righe, attraverso continui annunci propagandistici, smentiti successivamente dai fatti. Perciò è opportuno andare cauti con le previsioni. L’unica certezza è il ritrovato interesse geopolitico, da parte della potenza a stelle e strisce, per alcune aree del mondo caratterizzate da un’elevata instabilità. La Siria è lo scenario più complesso della regione mediorientale perché terreno di scontro tra potenze regionali ed internazionali. Gli interessi divergenti di Turchia, Israele, Iran e Arabia Saudita si innestano nelle lotte interne, etniche e religiose, acutizzatesi nel territorio siriano-iracheno dopo l’inizio del programmato ritiro dell’esercito statunitense. Tralasciando questi aspetti, meritevoli di una lunga e meditata trattazione, lo scontro coinvolge, a un livello superiore, due superpotenze come U.S.A. e Russia. Il disegno statunitense, solo apparentemente assopito dopo la fine della guerra fredda e mai davvero completamente tramontato, è, da ormai mezzo secolo, caratterizzato dalla volontà di spingere le frontiere della Nato sempre più verso est ed estendere la propria influenza sull’intero pianeta, realizzazione concreta della fede nel Destino Manifesto, secondo cui dominare e governare il mondo, diffondendo la propria forma di libertà e di democrazia, è la missione universale angloamericana. I russi percepiscono in questo atteggiamento un rischio per la loro esistenza. Il progetto di Putin sulla Sira, infatti, segue la direzione opposta e viene visto dagli antiamericani come un tentativo di difesa. I rapporti con Al Asad sono imposti dalla fermezza nel voler conservare un certo peso politico-militare sulla zona e dal bisogno di mantenere la base navale di Tartus, ultima barriera alla strapotenza statunitense nel Mediterraneo e unica presenza russa in un mare costellato di basi militari U.S.A. e Nato. Per questo motivo la Russia non demorderà e proverà a condurre gli Stati Uniti verso un accordo, con il quale sarà compito di Trump e Putin ristabilire gli equilibri nell’area, tenendo conto dei vari e differenti fattori regionali. In alternativa soltanto due possibilità, rimanere in questa situazione ancora per molto oppure l’inizio della guerra guerreggiata. L’esito dello scontro siriano avrà inevitabili conseguenze sulla questione ucraina. Tra gli scenari prevedibili, un deciso rilancio delle asperità anche in quella disputa. Mentre i grandi player mondiali gareggiano in una partita fondamentale per il futuro del Medio Oriente, è desolante constatare l’estraneità dell’Unione Europea ai giochi, nonostante quello europeo sia il continente più vicino e più esposto alle turbolenze dell’area. Segno inequivocabile, quest’ultimo, della crisi politica interna e della mancanza di strategia comune tra gli Stati dell’Europa.