Corriere dell'Irpinia

Migranti, l’integrazione

 

Le clamorose minacce verso gli immigrati messicani – deportazione in massa di quelli giunti illegalmente – da parte del miliardario americano Trump candidato repubblicano alla successione di Obama e l’ultimo e drammatico sgombero di Calais, ripropongono su base globale, la questione migratoria. La nostra provincia, per altro, è stata ed è al centro di una accesa polemica tra la CGIL e il prefetto Sessa, costretto a destinare fuori provincia gli immigrati che in Irpinia non avevano trovato una accoglienza sufficientemente umana. Il rischio maggiore è che il dibattito ci presenta mille idee per accoglierli, ma tutte accompagnate da altrettante mille riserve sulla sostenibilità delle stesse. L’affanno complessivo della vecchia Europa – con la costruzione di barriere di ferro spinato – mostra già adesso l’impotenza per governare un fenomeno destinato ad assumere dimensioni più vaste di quelle attuali. Una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti non porterà ad altro, se non all’aumento della nostra precarietà esistenziale. Quando, per decenni, nel corso di convegni di alto spessore culturale e politico – condotti da personaggi di altissima statura per l’acume del loro pensiero e la saggezza delle proposte concrete avanzate – veniva sottolineato l’esigenza di prevenire esodi biblici dai paesi sottosviluppati inviando all’interno dei loro territori non «pesce in scatola, ma lenze per imparare a pescare» le grandi potenze non hanno recepito la metafora dello sviluppo locale di quei territori, presupposto fondamentale per evitare l’esodo attuale. Alla fame si somma attualmente la guerra senza quartiere, le violenze di ogni genere e la naturale lotta per la sopravvivenza resta l’unica speranza per donne, uomini, bambini di arrivare in luoghi geografici alla ricerca di un minimo di calore umano. Le grandi potenze si misurano sulla pelle di migliaia di persone, spesso intrappolate in spazi senza vie d’uscita, senza un piano globale di ricostruzione di un minimo di tessuto socioeconomico endogeno per bloccare le drammatiche, spesso letali, fughe a cui vengano costretti intere etnie locali. Ma il quadro globale dell’accoglienza presenta anche qualche raggio di sole costituito da un fenomeno straordinario: l’aiuto ai rifugiati fornito in mille forme attraverso il web. Dalla frontiera alpina a nord a quella marina a sud, l’importante è avere acceso una connessione web: è così che diventa sempre più estesa l’Italia dell’”accoglienza 2.0” quella che di frontiere – in particolare per i rifugiati in fuga da guerre e persecuzioni – non vuole sentire parlare, ma si organizza in rete come nelle strade e lascia il proprio indelebile segno di umanità. Una rete di almeno 50mila persone, che si moltiplicano quando c’è di raccogliere aiuti, offrire un pasto o un alloggio temporaneo. L’ultima novità virtuosa dell’accoglienza parte da Milano con l’inserimento dei profughi nel tessuto sociale tramite l’ospitalità in case private. Si tratta del ramo italiano del movimento spontaneo nato in Germania “Refuges Welcome – Benvenuti Rifugiati” lanciato recentemente – inizio dicembre 2015 – Germana Lavagna, fotoreporter che ha raccontato tra i primi l’idea, afferma che è già nota una organizzazione presente in tavoli regionali, presenti in decine di città italiane. L’incontro rifugiato-casa ospitante, avvenuto per via web, dura da 3 a 6 mesi. L’esperienza tedesca insegna che poi l’accoglienza si prolunga, perché prende piede l’amicizia. Nella nostra Irpinia, terra di emigranti e di endemica disoccupazione, perché l’amicizia non può trasformarsi in impegno sperimentale dei rifugiati nella coltivazione di tanti pregevoli terreni incolti?

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