Migranti questione epocale

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"La portata inedita, e per certi aspetti epocale, delle migrazioni nel Mediterraneo non può certo essere trattata con cecità dalle classi dirigenti e con indifferenza dalle opinioni pubbliche". Le parole sono del Presidente della Repubblica Mattarella che ricorda così il tragico naufragio di tre anni fa. Il 3 ottobre del 2013 a largo di Lampedusa una imbarcazione libica, utilizzata per il trasporto di migranti, naufraga a poche miglia dal porto dell’isola. Le vittime sono 386. Numeri che fanno di quella tragedia una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dal dopoguerra. Per non dimenticare quest’anno si è celebrata la prima Giornata in Memoria delle vittime dell’immigrazione. Ma in realtà ricordare serve anche ad affrontare il tema di gran lunga più importante che oggi la politica deve affrontare. Chi arriva scappa da guerre e disperazione. Il nostro è un paese che ha oltre settemila chilometri di coste e dunque siamo il primo approdo per chi attraversa il Mediterraneo. E’ aumentato in misura esponenziale il numero di chi arriva in Italia con la famiglia così come quello dei minori non accompagnati. Ognuno di noi li ha incontrati tante volte. Ragazzini che dormono nelle stazioni o dove capita. Quelli agli angoli delle strade che puliscono i vetri. Bambini che ogni giorno sperano di ricevere una moneta e noi nemmeno ci chiediamo più se ci sia una madre o un padre da qualche parte, una casa alla quale tornare. Gli sbarchi nel frattempo continuano. E soprattutto continua una politica miope dell’Europa. L’Italia, come mette in evidenza il nostro governo, non può farcela da sola. La politica europea deve avere più coraggio. Dai paesi dell’est Europa, ad esempio, solo fino a qualche anno fa si fuggiva, oggi l’Ungheria rifiuta perfino di ospitare 1300 rifugiati, una cifra irrisoria. La commissione europea insiste sulla obbligatorietà della redistribuzione e propone multe per chi non accetta. Ma tutto viene visto e letto con gli occhi distorti da chi cavalca la prevaricazione di Bruxelles sugli Stati nazionali. Il problema, dunque, resta quello di operare una chiara e netta scelta politica. Chi si rifiuta di applicare le norme europee deve contestualmente avviare una procedura di uscita dall’Unione. Un modo forte per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità ed evitare decisioni unilaterali. Stiamo facendo un pericoloso salto all’indietro e ci stiamo dimenticando una storia che in fondo è recentissima. Se prendiamo questo racconto si fa fatica a capire quando è stato scritto. “Un’ora di navigazione. E guardando intorno si scorgeva solo acqua. Fu allora che pensò che il vero addio era quello. Non davanti alla casa, con la famiglia stretta in una pigna dolorosa. In mezzo a quell’azzurro che l’imbarcazione fendeva, là senza niente intorno, col mare che forse ti inghiotte. Là si restava soli. Era un punto senza ritorno. Accaniva i rimpianti. Feriva con i ricordi. Scovando un momento tenero, una carezza, un’attenzione non compiuta, un gesto rinviato. Ora, capi chini e sguardi persi nel vuoto, lacrime e singhiozzi, lì, stipati nelle stive, con le luci fioche o nel buio profondo, ammassati l’uno contro l’altro, stretti a volte da non poter respirare. Alla tristezza si aggiunge la paura. Per quel viaggio, con un’acqua da attraversare fino al bordo del mondo”. Di chi è questo racconto? Non sono le parole di un ragazzino afgano o siriano. Ma quelle di Giuseppe, figlio maggiore di una famiglia contadina dell’Aspromonte che nel 1902 lascia tutto quello che ha con la promessa di tornare e parte per la fine del mondo, a quei tempi l’America, nel bel libro di Mimmo Cangemi. Un secolo fa su quei barconi in cerca di un’altra vita c’eravamo noi.
edito dal Quotidiano del Sud