Mio padre, un irpino tenace che amava la sua terra

Dieci anni fa ci lasciava l’ingegnere Giuseppe Pisano. Apparteneva a una delle più antiche famiglie avellinesi, i Pisano un tempo mercanti di sete e di damaschi. La lettera del figlio Alberto Pisano

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di Alberto Pisano

“A mio padre”
Dieci anni fa ci lasciava mio padre, l’ingegnere Giuseppe Pisano. “Peppino” (come affettuosamente lo chiamavano gli amici). Apparteneva a una delle più antiche famiglie avellinesi, i Pisano un tempo mercanti di sete e di damaschi. Mia nonna si chiamava Maria Pisano e aveva il capostipite in Ciro Laudonia persona molto influente nell’ antifascismo avellinese, quando gli intellettuali erano legati al credo liberale ed antifascista portato avanti ad Avellino innanzitutto dagli eredi Amendola.

Queste famiglie di estrazione liberale trovarono in Guido Dorso il loro punto di riferimento negli anni del fascismo e si ispirarono a lui negli anni più tristi delle leggi razziali e della guerra.
“Peppino” nacque pochi mesi dopo la morte del padre (mio nonno),un ferroviere, persona molto legata alla famiglia Tino al punto che quando io fui portato a fare le vaccinazioni all’ufficio sanitario dal Dr Tino vedendomi egli esclamò: “mi hai portato Saverio!” tanto era l’affetto, ma anche la somiglianza con il mio nonno paterno.

La scelta di papà di laurearsi in ingegneria dei trasporti non fu casuale: molto probabilmente era la nostalgia di un padre mai conosciuto. Difficile di carattere, era una persona rigorosa e abituata ad esprimere, senza preamboli, il suo punto di vista, validandolo sempre con argomentazioni tecnicamente e dialetticamente inconfutabili. Il rigore accompagnò tutta la sua vita e lo portò ad essere poco indulgente soprattutto con sé stesso (per lui sbagliare era un fatto inconcepibile).

Associatosi allo studio tecnico più importante di Avellino dell’epoca, quello dell’ingegnere Carmine Fumo, si fece subito notare per la vivacità e per la brillante professionalità, mentre, nel frattempo, l’insegnamento presso il glorioso Istituto Agrario di Avellino, gli faceva guadagnare la stima e la simpatia dell’impareggiabile maestro di lingua e di cultura, Federico Biondi e la totale fiducia del Preside e di tutto il corpo docente.

Il 1969 fu un anno cruciale per la storia di Avellino, De Mita aveva sconfitto Sullo, il più votato d’Italia nel 1968, al congresso provinciale della DC e la morte di Angelo Scalpati aveva aperto la via alle elezioni comunali.

Il PRG fu voluto da Sullo, e Avellino fu l’ultima città d’Italia ad adottare uno strumento urbanistico, quando il tessuto urbano era stato stravolto da alcune licenze edilizie rilasciate ai sensi della legge Ponte, da Scalpati. Tanto aveva creato non pochi problemi di gestione, e quindi era necessario un tecnico, non fautore della architettura proposta dall’ architetto Pini del MSI, consigliere comunale, che sposasse il difficile compito di realizzare le previsioni di piano.
Era necessario che ciò potesse avvenire, anche guardando alle nuove intese che la sinistra di base di De Mita guardava con interesse. Si delineavano le strategie delle convergenze parallele, che sarebbero state la grande proposta di Aldo Moro. Quest’ultimo, in un incontro con la DC, alla presenza del progettista del PRG di Avellino l’Arch. Marcello Petrignani, aveva immaginato il futuro del mezzogiorno guardando già all’ Europa. Una idea condivisa con Ugo la Malfa e con la sinistra di base della DC.
Mio padre, l’allora giovanissimo ingegnere Pisano, repubblicano perché proveniente dalla cultura azionista non perse occasione per mostrare subito la sua intraprendenza, la sua determinazione e capacità organizzativa.

Fu Assessore all’ Urbanistica nella giunta guidata da Nacchettino Aurigemma e in questo ambito riuscì a varare i primi quartieri popolari moderni come Rione Mazzini e avviare una politica di equiparazione tra edilizia residenziale pubblica e privata senza privilegi di suoli. Tanto gli valse la stima di tutti. In seguito, con la nascita dell’ufficio di piano del comune di Avellino, di cui facevano parte Lucio Morrica Gianni Cerami e Franco Cristiano oltre altri tecnici avellinesi stimati professionisti da Michele Famiglietti a Gerardo Troncone, fece un ottimo lavoro.

L’ufficio di piano infatti produsse, studi sul Centro Storico e relativi comparti adiacenti offrendo anche in occasione del terribile sisma del 1980 la indispensabile base per salvaguardare talune emergenze e gettare le basi dei successivi studi e progetti. Basterebbe ricordare le cooperative realizzate da UNCI e da Zagari che risolsero tantissimi problemi abitativi.

Durante il sisma non si sottrasse a nessun obbligo civico e se lo stadio Partenio poté funzionare subito si deve proprio allo studio Pisano- Fumo.

Quando si concluse la sua esperienza politica, si dedicò con maggior vigore alla progettazione. Tantissime le strutture private progettate sia in provincia che in città, ma anche opere pubbliche tra le più importanti del capoluogo come, ad esempio, i calcoli strutturali della nuova autostazione comunale. Ebbe grande gratificazione quando a seguito di un concorso pubblico, si aggiudicò e progettò i calcoli strutturali del Teatro Carlo Gesualdo. Così come quando, io stesso da appena laureato, ebbi la fortuna di seguirlo sull’importante intervento di recupero e conservazione della Scuola Agraria in cui, per tanti anni era stato insegnante
Fu progettista anche della strada Bonatti che gli creò molti problemi, soprattutto per la previsione di talune lottizzazioni e il vincolo di un pino.

In seguito, mio padre fu eletto per due legislature come delegato della cassa degli ingegneri e architetti per la provincia di Avellino. In questa avventura, si dedicò con grande impegno mostrando le sue competenze giuridiche e diventando un punto di riferimento non solo per i colleghi della nostra provincia, ma anche per tantissimi e giovani professionisti di altre province e regioni che spesso chiedevano la sua consulenza.
Mio padre fu un uomo saggio nel consiglio ma determinato e presente, sprezzante nell’ insulto verso chi non avesse la sua stima. Sempre sobrio schivo, talvolta ironico e sornione, aveva intuito e lungimiranza, tali da essere capace sempre di guardare oltre l’orizzonte.

Un Irpino tenace pieno di sentimenti e di amore per la sua terra, per gli amici e per la sua famiglia.