Montoro Contemporanea: si inaugura la personale di Ernesto Terlizzi “Cart-one”

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Sarà inaugurata venerdì 14 ottobre 2016 alle 19,00, presso il Convento di S. Maria degli Angeli a Torchiati di Montoro, ‘Cart-one’, la personale di pittura di Ernesto Terlizzi a cura di Paolo Romano, che fa parte della dodicesima edizione della Giornata del Contemporaneo 2016 promossa dal circuito AMACI – Associazione Musei Arte Contemporanea Italiani.

La mostra prosegue il secondo ciclo di MONTORO CONTEMPORANEA, una rassegna di mostre personali tra pittura, scultura e fotografia, ideata e diretta da Gerardo Fiore, patrocinata dal Comune e dall’Assessorato alla Cultura della Città di Montoro (AV).

In mostra 22 opere realizzate con cartone riciclato su cui l’artista taglia, strappa, innesta ed assembla materiali di scarto prelevati dal suo territorio periferico (catrami, legno e lamiere), da tempo presenti nella sua lunga ricerca.

Alla serata, moderata da Sabatino Del Regno, interverranno oltre all’artista: il sindaco Mario Bianchino; l’assessore alla Cultura Raffaele Guariniello; Paolo Romano, giornalista; Antonio Pecoraro, Ricercatore Storico; Antonella Esposito, Dirigente Scolastico; il direttore della rassegna Gerardo Fiore.

La mostra è visitabile fino al 29 ottobre dal martedì al sabato, dalle 19,00 alle 21,00, e su appuntamento.
Contatti: 389 1629853

Scrive Paolo Romano: «Come sei superficiale! Lo diciamo di una persona in senso più che dispregiativo. Per gli artisti è invece il contrario, la conoscenza della superficie è fondamentale e non solo in senso tecnico. La superficie è significante, contenuto, profondità, forma, essenza. Persino per i non vedenti in essa risiede la quintessenza dell’arte, essi percepiscono la superficie attraverso il tatto, percorrendone l’estensione con le dita della mano hanno l’esatta percezione dell’opera. Terlizzi sembra invitarci ad effettuare questa scansione tattile, a recuperare il contatto con l’opera, ad apprezzarne la tangibilità contro l’evanescenza di una “società liquida”.

Nella materia, nei materiali, nei prodotti dell’uomo e nella loro giustapposizione creativa si nasconde spesso l’emozione dell’arte. Se non fosse così l’arte rimarrebbe confinata nel recinto imbalsamato e consunto del dualismo tela-pittore, scultura-scultore, pennello e cavalletto, scalpello e mazzuola. L’ultimo progetto dell’artista Ernesto Terlizzi – tra i maggiori interpreti dell’astrattismo – è un lavoro di ricerca su quelli che mi piace definire “cartoni contaminati”. Le opere di Terlizzi sono sempre macro creazioni che nascondono micro mondi. Sono belle a vedersi nella loro interezza, comunicano sensazioni, stati d’animo, inquietudini e codici indefiniti. Ma – come sempre nelle vere opere d’arte – soprattutto invitano ad una lettura più approfondita: vincendo la pigrizia dell’occhio, lo sguardo binoculare dell’uomo è chiamato a cercare la verità di un frammento, la galassia nascosta in un grumo, la sintesi espressiva. Terlizzi mimetizza in ogni frammento di materia epifanie clandestine, in ogni particella della superficie dell’opera occulta tracce, indizi.

Sussurri e grida parlano allo spettatore attento dell’opera. Ogni opera di Terlizzi è una galassia semantica che ruota intorno ai pianeti minimi, alle particelle del caos materico. Cart-one di Ernesto Terlizzi è una mostra di grande potenza espressiva, a cominciare dall’ambiguità del titolo che rinvia al cartone per esteso e recupera – con il suffisso anglosassone che sta ad indicare il numero uno – il primato intrinseco della materia rispetto al valore venale che l’uomo gli conferisce. Come a dire: non sono il bronzo o l’oro a dare valore all’opera d’arte, ma l’alchimia che si crea tra artista e materia, tra intuito creativo e tecnica, tra materiali e contesti. La scelta polimaterica sottende l’ambiguità, intesa come dissimulazione, proliferazione di significati, ricerca di ulteriori chiavi di lettura, invito a considerare sempre il prodotto artistico come “opera aperta”. All’apparente fragilità di un cartone ondulato, Terlizzi associa materiali compositi e immanenti come l’asfalto, con la sua componente bituminosa, residui e scarti dell’Impero del Petrolio. Terlizzi – che ha esposto di recente presso lo Spazio Tadini di Milano – compone i suoi arazzi di cartone tra fenditure, brecce e segni di un avanzato processo di destrutturazione dell’immagine. Quest’ultima, lungi dal proporre la vacuità ed il nichilismo, riempie la mente di una miriade di fotogrammi reali ed onirici, dando luogo ad una proliferazione di immagini retiniche, ad un delirio simbolico, ad un sistema di scatole cinesi contenenti metasignificati. Come per ideali frammenti di “autostrade del pensiero”, le carte e i cartoni di Terlizzi sposano bitumi e metallo.

Il bitume è quello usato per l’asfalto, per la realizzazione dei manti stradali, ma anche quello per la coibentazione degli edifici. Il metallo non è mai quello nobile, patinato, appena uscito dalla fabbrica, ma quello sottratto al ciclo del consumo e del rifiuto. È la materia metallica delle lamiere consunte e attaccate dalla ruggine, è la latta schiacciata dei barattoli di pomodori, reperita tra discariche, cumuli di rifiuti e casolari abbandonati. In questo caso non è la solita operazione ecologica che muove l’artista. Il recupero di tali materiali metallici dismessi è motivato dall’interesse dell’artista per la potenza espressiva della loro patina, per le geografie del colore, la ruvidezza e la consistenza del supporto, la risposta della materia all’attacco degli ossidi.

Riformulandola in maniera originale, Terlizzi sintetizza e riattualizza la lezione di Burri, con le superfici corrose e logore che parlano e gridano molto più delle opere d’arte patinate. Nelle opere di Terlizzi nulla è lasciato al caso, persino la cornice esce dal suo schema funzionale e non è più semplice delimitazione dell’opera. Un quadrato o un rettangolo di ferro con-partecipano alla geografia dell’opera d’arte, dialogano con la superficie del quadro, ne fanno parte da un punto di vista cromatico e materico, di significante e di significato. Cort-one di Terlizzi è un progetto artistico di grande potenza, destinato a durare nel tempo, contrariamente alla apparente deperibilità del supporto cartonato. Come in certi imballaggi, dove l’artista ha volutamente lasciato anche la scritta destinata agli spedizionieri, ognuna di queste opere è al tempo stesso “alta” e “fragile”. Un’altezza ed una fragilità che, a ben vedere, appartengono sempre all’arte, intesa come effimero tentativo di afferrare la bellezza».