Moro e la politica al servizio della comunità 

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La presentazione, a Baiano, del libro di Franco Vittoria “Aldo Moro il volto umano della politica” e alcuni apprezzabili contributi scaturiti dal dibattito, mi incoraggiano a dedicare qualche riflessione sulla politica – quel – la intesa come nobile servizio alla comunità – superando la non poca delusione collegata alla frammentazione senza fine, storicamente documentata, della sinistra italiana. In particolare il contributo di Mancino “la politica ha bisogno di farsi amare” e quello di Enzo De Luca “recupero della condivisione che porta alla società civile” riportano il mio pensiero alle significative sollecitazioni culturali e politiche emerse dal convegno dei Cristiano- sociali del 2003 “I cristiani e la società italiana: nuovi fermenti sociali e progettualità politica”. I nuclei tematici trattati nel corso di quel convegno di Assisi, non erano e non sono, lontani dal pensiero politico di Aldo Moro e, ad una attenta lettura, si rivelano profondamente attuali. Allora alla crisi della politica già presente, veniva contrapposto uno sforzo per rispondere adeguatamente ad una diffusa domanda politica pervasa da una robusta consapevolezza della responsabilità politica della società civile, di una comunità nazionale ancora coesa, non disposta a rinunciare a quelle garanzie fondamentali sancite dalla Costituzione: c’era in sostanza, ancora una sufficiente voglia di partecipazione attiva e responsabile, mutuata – prevalentemente – dalla dottrina sociale della Chiesa. Questo dato va considerato nella sua complessiva pregnanza culturale e politica e messo a confronto con l’attuale scelta della non partecipazione al voto – di proporzioni a dir poco allarmanti per la democrazia – o l’opzione per un populismo senza storia e senza prospettive di futuro credibile. In tal senso l’auspicio di Mancino per una politica che si faccia amare dal cittadino, pur apparendo come una utopia, costituisce la via maestra per affrontare l’irrisolta crisi della rappresentanza politica. I destinatari principali del “rancore” di cui ha parlato ultimamente il Censis sono proprio i rappresentanti attuali della politica che non fanno nulla – anzi operano al contrario – per farsi amare. Tra le sfide, allora proposte, veniva ribadita l’esigenza di ristabilire un rapporto di fiducia reciproca di scambievole alimentazione, tra forze politiche e realtà organizzate della società, non solo a livello centrale, ma con i gruppi e le soggettività sociali presenti sul territorio delle nostre piccole comunità, a partire dalle parrocchie, dalle micropresenze di solidarietà, dalle mense dei poveri, dalle piccole cooperative non ancora inquinate, dal volontariato diffuso, insomma con tutto il grande polo della solidarietà e della consapevolezza civile. La grande capacità di ascolto di Aldo Moro avrebbe certamente consentito di trasformare questo ascolto in percorso di partecipazione attiva e responsabile, sale fecondo per una democrazia nel cui interno non attecchisce facilmente il populismo e la demagogia. Fu anche sottolineato che c’era bisogno, allora come oggi, di profezia intesa come luogo centrale per scelte radicali per dare risposte concrete alla povertà, alla emarginazione, alla corruzione. Il ricordo di questi percorsi culturali e politici, vissuti con entusiasmo e profonda rigenerazione civile, senza penombre di nostalgia, riaprono lo scrigno dei valori etici che a tanti cattolici di frontiera, oggi come allora, costituiscono l’unica sollecitazione per andare a votare. Lo stesso sforzo di ricordare, a noi stessi o a qualche giovane lettore che dovesse casualmente leggerci, è nel segno della consapevolezza di mettere a disposizione del paese tutte le energie vitali, per contribuire alla costruzione di una casa comune a tutte le culture e a tutte le esperienze collettive ed individuali per uno spazio politico autenticamente riformista per guardare largo, nel tempo e nello spazio, nel futuro, nell’Europa e nel Mediterraneo, per costruire veramente il bene comune.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud