Moscati, Nursing Up: «Un malato su cinque è deceduto. Serve maggiore coordinamento tra l’ospedale e la medicina territoriale»

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Luci e ombre dell’ospedale Moscati di Avellino, in piena emergenza pandemia, con un piano vaccini ancora in fase iniziale che stenta a decollare in gran parte delle Regioni italiane e con contagi e decessi legati ad un virus onnipresente, che non intende in alcun modo rallentare la sua virulenza. E’ quanto emerge da una dettagliata analisi del Referente Campania per il Nursing Up, Sindacato Infermieri Italiani, Mario De Santis, che ci parla della sanità irpina prendendo ad oggetto il nosocomio di Contrada Amoretta, cominciando dalle note liete, quelle di una direzione sanitaria che da sempre si distingue in positivo, rispetto alle vicine realtà della provincia di Napoli, meritevole di instaurare dialogo costruttivo con il personale e di venire incontro alle loro necessità, nonché di mettere a loro disposizione gli strumenti per agire nel migliore dei modi.

«Lo abbiamo visto con la questione degli avvisi pubblici, creati per tempo e in anticipo, cosa che altre strutture non hanno fatto, mettendo quindi nella condizione, dice De Santis, l’ospedale, di soffrire certamente in modo meno acuto della carenza cronica di infermieri. Lo vediamo anche con le vaccinazioni messe in atto per il personale sanitario. Oltre il 90 per cento tra medici, infermieri e operatori, coloro che ogni giorno sono in prima linea per difendere la salute dei pazienti, in un momento così difficile, sono stati vaccinati al Moscati. Così come ci dicono che da subito l’ospedale irpino è tra quelli in Campania che ha fatto registrare la maggiore adesione alla “missione vaccini”, oltre l’80 per cento degli infermieri si è subito mostrato disponibile a farsi vaccinare per il bene dei malati.

Tuttavia, continua De Santis, le note dolenti ci sono e come. A cominciare da un pronto soccorso che soffre maledettamente la vicinanza con la provincia di Napoli, già in sovraccarico nei periodi normali, figuriamoci in questo frangente. E questo nonostante il Moscati abbia tra le migliori professionalità della Regione, su questo non c’è alcun dubbio.

Passiamo però alla questione della mortalità durante il covid, un dato che non ci piace affatto. Oltre al Pronto Soccorso stralcolmo, infatti, al Moscati registriamo ad oggi, dal 1 settembre 2020, ben 133 pazienti deceduti su 554 ricoveri Covid. Sono cifre che non ci piacciono. Ci indicano che il tasso di mortalità è pari al 25%, 1 paziente su 4. Che succede al Moscati? Potremmo individuare il problema con una sola risposta, ovvero andare a cercare nelle carenze della medicina territoriale le cause di quanto sta accadendo. Non regge infatti il giustificarsi con il fatto che si tratta di pazienti già affetti da gravi patologie. Se un uomo o una donna arrivano al Moscati con una polmonite interstiziale in fase avanzata c’è ben poco da fare. E allora, in Irpinia, come in Campania, occorre maggiore coordinamento tra i medici di base e i pronto soccorsi. Mi spiego meglio: il medico di famiglia non può e non deve essere solo un impiegato che prescrive i farmaci. Deve essere capace di ridurre la mole di ricoveri quando il paziente non ha bisogno di degenza ospedaliera, e nello stesso tempo non può e non deve sottovalutare patologie gravi, inducendo il malato ad arrivare in ospedale in condizioni dove le problematiche sono già allo stadio avanzato. L’Irpinia poi, questo non è banale, in questa stagione, con il suo clima, favorisce patologie respiratorie: e i medici di base devono sapere quando intervenire con i ricoveri e non sottovalutare mai situazioni a rischio».