Natale, questo Sud senza luce

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Intanto auguri. A chi vive in famiglia. A chi è solo. A quanti si ritrovano per raccontare e raccontarsi. A tutti coloro che sono spettatori e testimoni inermi di quanto accade in questo nostro mondo in cui paura, guerra e violenza sembrano scandire le ore di tragedie infinite. Penso a quei corpicini senza più vita ripescati nella grande tomba del Mediterraneo, vittime innocenti di una disumanità senza confini. Penso a tanti immigrati che, davanti agli esercizi commerciali, tendono la mano per chiedere elemosina, in uno Stato che non riesce a dar loro dignità di lavoro, ma solo mance che, il più delle volte, finiscono nelle tasche di poteri criminali. Non neghiamolo: ci sono punte di razzismo ancora da debellare rispetto alle quali diventiamo prigionieri di un pregiudizio. Per questo, purtroppo, l’immigrazione è considerata un problema e non, come dovrebbe essere, una risorsa. Certo, le maggiori responsabilità sono della politica. Europea e nazionale. La prima, l’Europa, ha fatto molto poco per affrontare il problema con decisione e fermezza, limitandosi a gestire l’emergenza profughi senza una razionale programmazione, diventando spettatrice inerme di un dramma che quotidianamente si va consumando. In Italia, d’altra parte, il dramma è ancora più avvertito, specie nel Mezzogiorno dove si è tornati a logiche schiaviste, con migliaia di immigrati prigionieri dei caporali. Solo di tanto in tanto, in occasione di qualche rivolta, si tenta di affrontare il problema, ma solo per placare gli animi, senza disegnare un progetto per il futuro. Già, il Mezzogiorno. Parliamone anche in questo Natale. Siamo quasi alla fine di un anno in cui questa parte d’Italia è scomparsa dalla politica nazionale. Lamenti, tanti. Promesse, di più. Fatti, davvero pochi. Viene da chiedersi che cosa è cambiato dalle analisi che sono state fatte dai meridionalisti del passato, Dorso, Fiore, Scotellaro, per citarne solo alcuni, rispetto ai giorni che il Sud vive oggi. Quelle analisi sono ferite ancora aperte, diventate putride, con il rischio di trasformarsi in insanabile cancro. Da allora ad oggi il Sud è sprofondato ancora di più. E’ sufficiente scandire le tappe più significative che si sono registrate in questo anno che sta per andare via, per radiografare una situazione che volge sempre più al peggio. Ecco il calendario della vergogna. Silenzio sul Mezzogiorno fino ad agosto. Poi i dati dello Svimez lanciano l’allarme. Il Mezzogiorno, dalle cifre, risulta in agonia. Il dibattito si accende, il confronto diventa aspro, il governo Renzi non può più tacere. Ed ecco quella che sembra una buona novella: a settembre l’esecutivo emanerà il masterplan. Parola misteriosa, con contenuti ancora più nascosti. Ma settembre passa e la buona novella diventa tradimento. Parola d’ordine del governo: si sta lavorando. Bisogna aspettare la manovra di fine d’anno, quella di soli pochi giorni fa, per valutare i contenuti del masterplan: quasi niente di nuovo sotto il cielo del Sud. Qualche mancia, il ripetere di qualche promessa, qualche completamento di opere pubbliche ferme da decenni, una boccata di ossigeno con gli sgravi fiscali. Tutto qui. Con una presa per i fondelli. Ora il Mezzogiorno non può più lamentarsi. No, non ci siamo. Per due ragioni. La prima. La questione meridionale non è solo la conseguenza di mancanza di fondi per opere frammentate, peraltro da sempre promesse e mai realizzate, ma è il risultato di una classe dirigente meridionale che legata al clientelismo, al trasformismo e alla corruzione non ha un’idea di come ridare una prospettiva di crescita civile e sociale ad una zona del paese ricca di straordinarie bellezze, ma priva di una intelligenza nazionale rivolta al bene comune. Ci si chiede, ad esempio: con quale logica si disegnano le priorità di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno? Ma è Natale. Giorno in cui si registra il ritorno nei paesi del Sud di molti emigrati nel Nord e all’estero. Una grande occasione per raccontare e raccontarsi, ma soprattutto per riflettere. Soprattutto per i giovani. Per quella sterminata miriade di ragazzi che ha dovuto recidere le radici dalla propria terra, per portare fortune in altri luoghi. Bastava poco, ma non si è fatto. In qualche realtà bastava creare centri di ricerca di eccellenze secondo le vocazioni del territorio. Si sarebbe in parte fermata la fuga dei cervelli. In realtà se questo non è accaduto è perché la classe dirigente meridionale, oggi come per il passato, si presenta vestita da giacobina a Roma e diventa forcaiola nel Sud. Cattura il consenso non per fare del Mezzogiorno una vera risorsa del Paese, ma per consolidare il concetto di feudalità sul territorio. Padrini, padroni, superbi ed arroganti quando hanno il potere, servili e meschini quando, in periodi elettorali, lo devono conquistare. Una classe dirigente che, pur di essere e di stare, non risparmia alleanze in odore di malaffare, perché, si voglia o no, nel Sud c’è l’altro Stato che uccide le speranze. E’ quello della criminalità. Ma ci sarà tempo per approfondire anche questi temi. Domani è Natale. Noi del Quotidiano del Sud auguriamo immenso bene e grande solidarietà ai nostri lettori e a quanti, con noi, auspicano una società fondata sul valore del bene comune.