Nella domenica della Palme la Passione a Misciano di Montoro, il mistero della Croce e partecipazione condivisa

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La rappresentazione della più importante e drammatica vicenda della storia, caratterizzata insieme dagli aspetti umani e divini delle azioni, nell’escatologia della performance, non risulta mai di facile esecuzione conducendo al difetto pratico anche i più abili attori, cantanti e altri professionisti dello spettacolo impegnati nell’acting.

Da un lato pena, afflizione, pianto, dolore sono i caratteri tipici del cristianesimo impiantati nell’ideologia cattolica durante secoli di evangelizzazione a favore delle masse contadine, della gente comune che, nel corso della storia, ha abitato le periferie urbane, i luoghi posti nell’immediato ridosso alle città e, pertanto, ci appartengono come tratti a noi pervenuti dalla fase inculturativa durata quasi due millenni; dall’altro, in generale e qualche decennio fa, si è provveduto a sopprimere alcune modalità di rappresentanza rievocatoria del dolore di Cristo  verso il Calvario (disciplinati, battenti … ) praticate in alcuni segmenti delle antiche Fratrìe di derivazione medievale (a Montoro se ne contano diverse) e ritenute forti nel loro linguaggio esecutivo ( in cui il primo ed unico soggetto incaricato a narrare i fatti della passione è il corpo del partecipante-attore).

È decaduta, quindi, la condizione secondo la quale pena, costrizione, pianto, dolore, commozione venivano visti dal di dentro, da vicino, vissuti in diretta.

E, ancora, se da un lato viene meno buona parte di emotività nel lasciarsi coinvolgere in una partecipazione dolorosamente sentita, d’altra parte l’intensa riflessione sulla narrazione può aiutare a percepire l’autenticità di un messaggio comunicato attraverso moderni mezzi di trasmissione che favoriscono lo spostamento della dimensione sensibile-passionale da un piano ad un’altro.

A Misciano tutto comincia in un forte richiamo, dal sapore tutto estetico (musica, poesia, teatralizzazione di corpi), al lasciarsi coinvolgere in una rappresentazione con luci, musiche particolarmente evocative grazie a timbriche sonore che parabolano l’animo dell’astante, di chi guarda, direttamente nella dimensione di cosciente onirismo che lo spettacolo deve costruire e donarlo al pubblico, trascinando gli occhi delle persone, ed esse stesse, nei fatti evangelici che, in ogni angolo del mondo cattolico, in vario modo si realizzano.

La messa in scena della Via Crucis di Misciano rivela, in modo inatteso e interessante, questi aspetti proprio nella misura di cui ha scritto Susan Sontag, dove le immagini di soggetti seri o strazianti sono opere d’arte che si presentano come stazioni agli occhi di chi guarda e, di fronte alle quali, bisogna fermarsi per poterne ammirare la potenza comunicativa.

L’ appuntamento culturale storico-rievocativo di Misciano prende sin da subito le sembianze di una opportunità per poter realizzare l’esserCi, per poter collocare la propria presenza all’interno di una comunicazione completa e non esausta che apre l’accesso alla partecipazione condivisa, quindi, percepita quasi nel senso originale, e non proprio definito, per mancanza della platealità del dolore di cui prima si è detto, che a Misciano di Montoro è “drammaturgicamente” ben esposta; quella capacità di immedesimarsi nella scena da rappresentare, che negli ultimi cinquant’anni ha cambiato forme e modalità di attuazione, non essendovi più il gesto del penitente autentico, appare chiaramente spostata sull’asse performativo di un cast di partecipanti attori, attento a non cadere nei meccanismi comuni dell’acting, della rievocazione come mera esecuzione di un programma scenologico già stabilito.

Sebbene, quindi, si tratti di una performance collettiva che rievoca la Passione di Cristo, ovunque basata su un copione unico per qualsiasi esperienza teatrale o cinematografica, quella di Montoro si sgancia da questa storica e ufficiale visione dei fatti da rappresentare agendo alcuni elementi in in grado di condurre lo spettatore all’ottenimento di una serie di obiettivi, in particolare spingere un qualsiasi astante nello spazio scenico (spazio scenico che, secondo le leggi del teatro, diventa: spazio sacro) quasi a fargli toccare con mano il dolore, la sofferenza altrui, quella di Cristo che spesso diventa simulacro abitato dalla sofferenza degli uomini e per cui essi decidono di riconoscersi in quella performance che diventa una importante occasione di riscatto sociale e, soprattutto, umano e ripresentarsi rinnovati agli occhi della comunità di appartenenza.

Non una semplice rappresentazione, dunque, quella di domenica 2 aprile 2023 che si terrà a Misciano di Montoro alle ore 18,30, ma una strutturata e corposa opportunità di assistere ad azioni dia-logate e mono-logate con efficaci colpi di scena come la pesante croce che, cadendo nel toccare terra, produce il suono reale del disastro, della costruzione che frana, i cui residui vengono prontamente innestati nella successiva prospettiva teatrologica offerta dalla ripresa delle scene: la croce nuovamente caricata sulle spalle di qualcuno.

Complimenti, quindi, al regista, agli autori, agli attori, ai responsabili di luci e suoni per la ri-attivazione di una modalità drammaturgica a tema sacro, giunta alla sua quarantesima “edizione” gradualmente rinnovata nelle sue dinamiche e tecniche comunicative poste magistralmente, tra l’altro, alla base dell’esecuzione scenica.

Un paese intero impegnato tra attori, voci recitanti e comparse, tutti montoresi eccezion fatta per Maria, la Madre di Gesù che è nolana, un numero che sommato a quello di chi lavora “ dietro le quinte” ( luci, audio, allestimenti, scenografie etc. ) supera le trecento unità “lavorative” impegnate nella riuscita della rappresentazione.

La via Crucis di Misciano a me piace definirla “rappresentazione” e non “rievocazione”; anche se la semiotica drammaturgica ci trasmette significati (degli oggetti estetici) allineati alla pregnanza del significante ( veicolo segnico) rispetto agli elementi scenografici e scenologici.

La rievocazione si basa sulla memoria di un passato a tematica condivisa ( Passione di Gesù) che offre scarse possibilità d’introdurre nuovi elementi alla struttura teatrale, la rappresentazione si basa sullo sviluppo di quella tematica condivisa inserendo a livello drammaturgico gli enti semiotici (significati e significanti), fono-acustici, materiali e di tipo visivo-cromatico, effetti e colpi di scena che a Misciano consentono di sfiorare il linguaggio del docu-film data la mole qualitativa dei costumi e degli apparati scenografici, fedeli riproduzioni ben studiate e realizzate di quel periodo.

Valerio Ricciardelli, antropologo e studioso di tradizioni popolari