Oltre la crisi politica la vita è bella

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Di Gianni Festa

“Lo sai che…” e subito ti piove addosso una miriade di maldicenze su fatti e personaggi che ormai fanno di Avellino e l’Irpinia un ambiente tossico. Non c’è più spazio per la riflessione, per costruire un’alternativa alle cose che non vanno, per organizzare un disegno di sviluppo per questa terra fin troppo maltrattata. Chi mai avrebbe pensato che la provincia che ha dato all’Italia una delle classi dirigenti migliori nel Paese, da Francesco Tedesco a Pasquale Stanislao Mancini, da De Sanctis, Dorso e Sullo fino all’ultima generazione politica dei cosiddetti “Magnifici sette”, sarebbe potuta scadere nel pettegolezzo più avvilente come oggi accade? E’ solo a causa della confusione che non costruisce certezze, del tempo che viviamo con la pretesa del tutto e subito, dell’assenza di un sentimento che tuteli l’orgoglio della radice? O, come penso, la causa del ragionamento degradato in pettegolezzo è nella deriva dell’impegno una volta etico che lentamente, ma inesorabilmente, si è svuotato dei valori di un tempo? Certo, a rendere amara la vita quotidiana sono anche altri fattori “ambientali”: le classi dirigenti non più selezionate, l’individualismo sfrenato che ha preso il sopravvento sull’impegno collettivo per il bene e il trasformismo che sta generando nuovi mostri. Facile indicare le responsabilità nella politica che non risponde ai bisogni, nei partiti trasformati in covi di potere, nella confusione delle altre agenzie sociali, chiesa, famiglie, sindacati, che affrontano con difficoltà la loro crisi interna: tutto vero, ma non basta scaricare sugli altri il disimpegno di una società ammalata. C’è poi l’autoreferenzialità di cui molti sono prigionieri, immaginando di poter decidere anche per gli altri. Il tempo, inoltre, silenziosamente ci ha fatto scivolare verso la deriva dell’impunità: si continua a fare attività politica anche se si sono commessi errori gravi contro la pubblica amministrazione, se si è consentito lo sperpero del danaro pubblico per fini clientelari o se si sono nutriti i poteri criminali con risorse pubbliche dando vita a quell’intreccio mortale della connivenza tra camorra e cosa pubblica. Si potrebbe continuare all’infinito indossando gli abiti del pessimismo dal quale si può e si deve uscire. Come? Intanto indignandosi davvero per quello che accade e non fingere di guardare altrove. Poi diventando protagonisti di azioni che mirino al bene comune adottando un comportamento che sia un seme capace di germogliare, volto al recupero di valori positivi per tutelare l’identità collettiva. Facendo, inoltre, della moralità dei comportamenti un obiettivo costante, in ogni settore in cui si opera. Se solo un minimo di questo impegno sarà testimoniato, si potrà riscoprire che la vita è bella e che è necessario difenderla sempre, a tutti i costi.