Ora si parli della riforma

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La decisione della Corte Costituzionale di rinviare a data da destinarsi la discussione sulla legittimità della legge elettorale (che è in vigore ma non è ancora mai stata utilizzata) dovrebbe garantire, d’ora in poi, un più sereno svolgimento della campagna referendaria, come auspicato dal Capo dello Stato, finora purtroppo con scarso successo. Ieri si è arrivati al punto che un parlamentare autorevole (?) dei 5 Stelle ha paventato (o minacciato?) il ricorso alla violenza in caso di vittoria del Sì. Se questo è il clima che si vuole instaurare a due mesi dal voto, non osiamo immaginare che cosa potrà accadere fra qualche settimana. Eppure ragioni per svelenire l’atmosfera ce ne sarebbero, e la saggia decisione della Corte ne ha appena fornito una di peso, togliendo dal campo la subdola argomentazione secondo la quale il “combinato disposto” fra riforma della Costituzione e legge elettorale confezionerebbe una polpetta avvelenata per il sistema democratico. In realtà le cose non stanno affatto così: la riforma Boschi reca, come dice l’intestazione, “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”. Si tratta dunque di norme che incidono sull’ordinamento dello Stato e sul lavoro di alcune delle sue istituzioni, sul procedimento legislativo, sugli istituti di democrazia diretta, sul riparto di competenze fra Stato e Regioni, con la forte riduzione di quella zona grigia nella quale le prerogative legislative degli enti territoriali si sovrapponevano a quelle del Governo, dando luogo ad un contenzioso infinito, che ha intasato l’aula della Corte Costituzionale chiamata a dirimere la vasta materia delle cosiddette competenze “concorrenti” nella quale spesso era l’unità giuridica ed economica della Repubblica a soccombere. La legge elettorale si occupa invece di un ambito molto più limitato, anche se importantissimo: regolamenta l’espressione della volontà popolare, che si manifesta con il voto, trasformando le preferenze espresse dagli elettori in seggi parlamentari (o regionali, comunali) e consentendo quindi la formazione di maggioranze politiche di governo. Sono due campi nettamente distinti e che tali devono rimanere: il primo riguarda direttamente il modo di funzionare dello Stato, e si propone di semplificare le procedure senza intaccare i principi fondamentali dell’ordinamento; il secondo tocca i rapporti politici, la rappresentanza, la formazione dei governi. L’averli messi insieme, avvicinando la data di svolgimento del referendum a quella del giudizio della Corte sull’Italicum è stata un’imprudenza, che ora viene corretta. Ciò dovrebbe consentire di sottrarre al giudizio degli elettori sulla riforma quel carattere di ordalia che aveva assunto, aprendo la strada ad un confronto vero sui pro e i contro delle proposte ammesse a referendum dopo – è bene ricordarlo – ben sei voti favorevoli delle due Camere, tutti garantiti dalla prescritta maggioranza e senza alcun ricorso al voto di fiducia (contrariamente a quanto si continua a ripetere da parte di chi è solo intenzionato a confondere le acque). Insomma: si discuta sulla riforma della Costituzione. Di legge elettorale si tornerà a parlare, se i partiti lo vorranno e se troveranno un accordo, una volta che i cittadini abbiano deciso se il Senato della Repubblica deve mantenere la sua forma attuale o deve trasformarsi in organo ad elezione indiretta e sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali.
edito dal Quotidiano del Sud