Partiti senza politica e ideologie

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Il mondo sta cambiando troppo in fretta e non sempre in meglio. La politica decisamente in peggio. Oggi, che i partiti sono deideologizzati, si sono scoperte le piazza e i sondaggi e parlano più al popolo che alle coscienze. I rapporti tra i politici si sono più incarogniti: gli avversari di un tempo sono diventati nemici e la meritocrazia non più competenza ma fedeltà perché il consenso politico e la gestione del potere è diventato più importante dell’interesse generale. Gli esempi si sprecano ma la legge di bilancio è una prova chiara e il frutto avvelenato di programmi antitetici perseguiti populisticamente per fini di puro consenso elettorale. Purtroppo non è la sola e in genere l’attività di governo è più di propaganda che finalizzata al bene collettivo. In più non si ha il pudore di percorrere strade che, ai tempi della prima Repubblica erano considerate politicamente e moralmente impraticabili.

Quando era difficile coagulare una maggioranza tra partiti omogenei si tentava di fare compromessi con partiti diversi ma nello spirito della chiarezza e del compromesso nel rispetto dell’interesse generale. Gli esempi non mancano e il tentativo della DC, il maggior partito di governo attorno al quale si formavano le maggioranze dapprima centriste e poi di centro sinistra, ha sempre favorito la democratizzazione di partiti, prima il socialista e poi il comunista, con i quali poter formare maggioranze o accordi di governo chiari e senza imbrogli nei quali ognuno perdeva un po’ del suo programma per arrivare ad un unicum comune ed assicurare la governabilità. Sono rimaste famose le formule degli “equilibri più avanzati” o delle “convergenze parallele”, la teoria degli “opposti estremismi”, ideata nelle elezioni del 1953, finalizzata a coalizzare le forze centriste contro gli estremismi delle destre e delle sinistre entrambe considerate antisistema con le quali mai e poi mai ci si sarebbe potuto alleare.

Chi mai avrebbe potuto immaginare che partiti antitetici, uno di estrema destra, sovranista, razzista e “conservatore” tanto per usare un termine in voga nella prima Repubblica, e l’altro più popolare (o meglio populista) per certi versi costola della sinistra, avrebbero potuto sottoscrivere, oggi, non un’alleanza su un programma condiviso ma un contratto di governo? Solo per realizzare promesse elettorali, incompatibili fra loro, nel generale dissenso dell’Europa, della quale facciamo parte, e di tutti gli Istituti finanziari, di rating, di controllo e di garanzia e della generalità degli economisti indipendenti che prevedono disastri. Il governo Tambroni, nel 1960, che aveva accettato i voti del MSI dovette dimettersi per le dimissioni di tre ministri della sinistra dc (Sullo, Pastore e Bo) e per i moti di piazza di Genova. Oggi bisognerebbe che le piazze di Torino SI TAV si facessero ogni settimana e si risvegliasse la coscienza civile e morale del Paese perché i due partiti stanno insieme ognuno per fare la propria politica e di comune hanno solo la concezione di una democrazia autoritaria, antiparlamentare e per di più sono contro l’Europa e l’Europa e l’euro e per l’economia si affidano ai due bocconiani senza laurea. Invece le cose che li dividono sono tante e i nodi cominciano a venire al pettine anche se non scalfiscono l’accordo perché in Parlamento non c’è alcuna possibile soluzione alternativa e l’opposizione semplicemente non esiste.  Il governo degli opposti estremismi continua a stare in piedi pur producendo danni anzi riscuotendo fiducia nell’elettorato che aspetta le promesse nella speranza di ricavarne qualche utile personale fino a quando non si accorgerà dell’inganno.

Quanto durerà? Quasi certamente fino alle elezioni europee e anche dopo se il loro elettorato non si ribellerà (i leghisti sono contro il reddito di cittadinanza e i penta stellati contro la flat tax) o fino a quando Salvini riterrà che sia giunto il momento di passare all’incasso. Tutto, naturalmente, nel triste torpore del PD.

di Nino Lanzetta edito dal Quotidiano del Sud