Pd, la corsa a tre per le primarie

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La corsa a tre fra Matteo Renzi, Andrea Orlando e Michele Emiliano per le primarie del Partito democratico è al giro di boa e il traguardo del 30 aprile è all’orizzonte. In questo week end si concluderà la prima fase del confronto, che ha visto il voto nei seimila circoli territoriali (le vecchie sezioni), mentre nella settimana successiva si svolgeranno le convenzioni provinciali e la convenzione nazionale (9 aprile). Finora sulle tre candidature sono stati chiamati ad esprimersi solo gli iscritti al partito. L’ultima domenica di aprile i gazebo sanno aperti anche agli elettori, e sarà una bella sfida, perché chi andrà a votare dovrà rinunciare almeno ad un pezzo del ponte del Primo Maggio: sarà un vero test di adesione al partito. Nel frattempo i candidati che nel voto degli iscritti avranno superato il 5% dei consensi (Emiliano è in difficoltà) presenteranno le liste collegate ai rispettivi programmi. Qualche considerazione si può già fare, cercando di sottrarsi alla tentazione di tifare per l’uno o per l’altro dei contendenti. Intanto l’insuccesso evidente della candidatura del governatore pugliese, che pure ha cavalcato tutti gli argomenti polemici possibili con una campagna non priva di spregiudicati colpi di scena e di richiami demagogici, dall’inchiesta Consip alla protesta contro il cantiere del gasdotto transadriatico. Al momento, con un rating inferiore al 4%, Emiliano è fuori dalle primarie aperte agli elettori, ma anche se riuscirà a superare la soglia minima, avrà solo dimostrato che gli iscritti al Pd sono refrattari ad ogni sirena populista o pseudo grillina. Restano in pista Matteo Renzi e Andrea Orlando, il primo molto avanti, con percentuali che superano il 60 e secondo alcune rilevazioni sfiorano il 70%, il secondo attestato poco sotto il 30. Il voto degli elettori potrà cambiare un quadro d’insieme che sembra al momento ben delineato e che dovrebbe essere confermato, a meno di “incursioni” dall’esterno nella dinamica elettorale, che non si possono escludere e che finora non sono mancate. Le candidature rimaste in campo rappresentano effettivamente due diverse concezioni del partito, due linee politiche e due proposte di governabilità: più imperniata sul Pd quella di Renzi, più disponibile alle alleanze a sinistra quella di Orlando. Semplificando, si potrebbe dire che il ministro della Giustizia si richiama alla tradizione politica della sinistra di derivazione comunista-togliattiana, naturalmente interpretata in chiave moderna e post ideologica; mentre l’ex presidente del Consiglio punta a confermare il Pd come partito “a vocazione maggioritaria”, in grado di attrarre elettori e gruppi di centro e moderati. Naturalmente solo un buon risultato elettorale potrà accreditare la “vocazione maggioritaria”, e in questo senso Renzi, se sarà rieletto segretario, dovrà affrontare una prima difficile prova già alle amministrative fissate per l’11 giugno, un osso duro per il Pd soprattutto a Palermo e a Genova. Qualche considerazione meritano pure i due “convitati di pietra” delle primarie democratiche: gli scissionisti di Bersani, D’Alema, Rossi e Speranza, e il Movimento 5 Stelle. I primi, per la verità, sembrano scomparsi dall’orizzonte: D’Alema, che è stato il grande manovratore della defezione, si è fatto da parte e guarda con distacco alle divisioni che già indeboliscono il nuovo partito, dove c’è chi (Bersani) strizza l’occhio a Grillo e chi (il governatore toscano Rossi) non ne vuol sentir parlare. Tutti sperano che la legge elettorale, ancora da discutere, dia loro una chance di contare nelle future alleanze; nel frattempo si sentono a disagio nel sostegno, che pure hanno promesso, al governo Gentiloni. Infine i 5 Stelle. Qui c’è da rilevare una contraddizione evidente fra i principi enunciati e la verifica dei fatti in materia di garanzia delle procedure democratiche nella vita del Movimento e nelle istituzioni che si trova a governare. Per dire: il Consiglio comunale di Roma è paralizzato perché la Giunta non riesce a varare le delibere necessarie per affrontare le emergenze cittadine, che non mancano; nella selezione dei candidati alle amministrative di primavera sono sempre più frequenti le interferenze accompagnate da veri e propri atti d’imperio del “garante” che sovvertono le decisioni assunte dagli iscritti, con strascichi anche giudiziari. Anche il sistema delle primarie democratiche zoppica e si presta a critiche; ma l’alternativa proposta dai grillini non sembra proprio in grado di superare la crisi della rappresentanza che indubbiamente è un problema delle democrazie moderne. Ricorda da vicino la favola della “Fattoria degli animali” di George Orwell, dove “tutti sono eguali, ma alcuni animali sono più eguali degli altri”. Per Orwell i maiali, oggi il grillo. Una lezione da imparare.
edito dal Quotidiano del Sud