Pensando al futuro

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Buon anno. Che sia di grande prosperità. Di buona salute. Di serenità. Di solidarietà. D’impegno per tutti verso il bene comune. Sia il 2016 l’anno di recupero del tempo perduto. Della riflessione sugli errori fatti. Dell’impegno necessario per riconquistare la speranza svilita. L’anno si presenta con le stesse sciagure che avevano segnato il brano di vita precedente: morte, attentati, vittime innocenti per guerre incomprensibili, paura che domina la condizione stessa dell’essere umano. Tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo per la riaffermazione dei valori dimenticati. Spesso restiamo prigionieri di piccoli schemi che ci tormentano. Sostituiamo questo limite con l’altruismo, la capacità di schierarci dalla parte degli ultimi per capire fino in fondo i bisogni degli altri. Non giriamo la faccia ora che Natale è passato. L’umiltà nasce dalla comprensione. Questo, e solo questo, è capace di restituirci serenità. Al tutto e subito, allo sfrenato egoismo, alle smodate ambizioni, alla voglia di sfasciare contrapponiamo il desiderio di credere in una umanità umile, semplice, positiva e coraggiosa. Penso in queste ore a quanto ha detto, nel discorso di fine d’anno, il presidente Sergio Mattarella, e rifletto sul suo passaggio iniziale, allorché egli affronta il tema del Mezzogiorno e del lavoro. Il capo dello Stato non usa perifrasi, va diritto al cuore del problema. Sud e occupazione infatti sono le due facce di una stessa medaglia. Perché, senza lavoro, l’emigrazione spopola i territori meridionali che, perdendo le sue migliori energie, finisce per diventare non competitivo rispetto allo sviluppo nazionale. Noto, inoltre, una grande differenza tra quello che ha detto Mattarella e quanto dichiarato dal premier Matteo Renzi in una intervista di fine d’anno. Il capo dello Stato, da uomo del sud, conosce la realtà meridionale e sa bene che il mancato sviluppo non è solo conseguenza di finanziamenti statali, ma dell’assenza di una vera classe dirigente. Lo ha detto a chiare lettere, esorcizzando tutte le analisi che spostano la questione meridionale sul piano dell’assistenzialismo. Per Renzi, invece, sono le risorse la leva del cambiamento del Mezzogiorno. Egli mette insieme una serie di fatti da realizzare nelle regioni del Sud, ma non si chiede, pur auspicandolo, chi deve assumersi l’onere del cambiamento. In sostanza, al pensiero profondo di Mattarella sul Mezzogiorno fa eco lo spot governativo di Renzi. Sono in errore? Non credo. Anzi. Penso che le due cose siano tra di loro in contrapposizione. Auspico, perciò, che in questo anno appena nato, pensiero e azione possano rappresentare quella leva del cambiamento tanto urgente per il Mezzogiorno, su cui da tempo è caduto un effetto notte.

Restringendo lo sguardo alla Campania, penso agli obiettivi che in questo anno si dovrebbe dare la Regione. Di certo non bastano le promesse del governatore De Luca che interpreta male il ruolo del decisionista, smentito dai fatti. Allo stato siamo di fronte ad una gran massa di nomine, per lo più di personaggi salernitani, e a tanti proclami. E’ come se De Luca non avesse mai smesso di fare campagna elettorale. Inoltre c’è un rischio dietro l’angolo: la Consulta, per effetto della Legge Severino, potrebbe esautorarlo dall’incarico. In tal caso il ricorso a nuove elezioni sarebbe inevitabile e per De Luca sarebbe facile dire che solo per questo non avrà onorato le promesse. Dai primi passi dello scorso anno, mi sembra che il governatore non abbia messo a fuoco ancora l’idea di fondo della Regione: essere ente di riferimento programmatico e non di gestione, per lo più clientelare. Si rileva dallo scarso interesse che egli nutre per le zone interne della Regione, nelle quali le iniziative messe in moto sono il frutto di un impegno quasi corale degli enti locali territoriali, senza un supporto definito della Regione. Aspettando i fatti che dovrebbero sostituire le parole, auspichiamo che De Luca in questo anno diventi, Consulta permettendo, un punto di riferimento dell’equilibrio territoriale regionale.

Le prospettive per l’Irpinia in questo anno che avvia i primi passi potrebbero essere positive se le forze politiche smettessero di confrontarsi sul niente e avviassero, pur nei ruoli distinti, una riflessione sui bisogni della provincia. Mi riferisco, in particolare, al Pd che naviga in un mare tempestoso, senza approdo, dilaniato da lotte intestine e con personaggi un po’ d’avanspettacolo. Il 2016 è l’anno del congresso del Pd che dovrebbe porre fine a quella deleteria balcanizzazione che ha generato il disonore della politica e il conseguente allontanamento da essa. L’anno che ci ha lasciato ha disegnato delle tracce: il progetto pilota dell’Alta Irpinia in fase sperimentale, la strategia della piattaforma logistica in Valle Ufita, la filiera enogastronomica che ha già fatto passi da gigante, sono tutti elementi che potrebbero cambiare il volto della provincia. Ad una condizione: che la classe dirigente non solo politica si dimostri in grado di accompagnare un reale processo di crescita in favore delle comunità.

Che cosa sarà, infine, l’anno appena cominciato per la città capoluogo? Qui la sfida è alta e difficile. Si tratta, anzitutto, di recuperare il tempo perduto. Dare un’accelerazione ai cantieri aperti e chiudere il capitolo dei lavori in corso interminabili. Restituire dignità ai monumenti abbandonati e impegnarsi per l’attuazione del progetto dell’area vasta. Ciò significa restituire un ruolo alla città , riannodando le periferie al centro e utilizzando le tante strutture oggi senza destinazione. Foti deve trovare il coraggio di dare una svolta, superando incertezze e mediazioni al ribasso. Deve chiamare a collaborare le competenze che pure esistono in questa città e dar loro spazio per una politica cittadina che ridiventi punto di riferimento per tutto il territorio irpino. Ma anche su questo ci sarà tempo per riflettere.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa